SAN CASCIANO – Nelle cittĂ , nei paesi, fin nelle piccole frazioni, si trovano monumenti che onorano i caduti della prima e della seconda guerra mondiale.
Spesso vere e proprie opere d’arte, in bronzo o in marmo, nelle quali sono rappresentati soldati con in mano la bandiera italiana. O con simbologie legate al culto dei caduti.
Uno di questi monumenti è nella piazza di Montalbano Jonico (Matera), recintato da una catena composta da anelli di ferro, sostenuta da cinque bossoli di cannone.
E’ il paese natale dell’attore Antonio Petrocelli, lucano ma sancascianese ormai “adottato”: davanti a quel monumento Antonio si è fermato a osservare, tornando indietro nel tempo. Quando nel periodo della scuola tutte le classi vi si recavano per la foto ricordo.
Il piedistallo sorregge una figura femminile in bronzo. Sul muro a destra e a sinistra della figura femminile che raffigura la patria, si leggono i nomi dei caduti nel 1915-1918 e l’elenco dei caduti nelle guerre d’Etiopia, Spagna e del 1940-1945.
A colpirlo è l’ultimo nome inciso: Armando Miele, nato il 6 giugno 1919, morto in Germania.
Ma chi era questo suo paesano studente di ingegneria chiamato alle armi di cui nessuno conosceva a fondo i trascorsi? Rimanevano solo dei ricordi dei suoi coetanei; e una via a lui intitolata.
Ecco allora che Antonio Petrocelli si prende cura di raccogliere più notizie possibili e, dopo un lungo e appassionato lavoro, nasce un libro dal titolo “La Patria guarda altrove frustrazione e passione sulle tracce del sottotenente Armando Miele” (Treditre editore).
Libro che è stato presentato nei giorni scorsi a San Casciano, nella Sala “Lucia Bagni” della biblioteca comunale.
Alla presenza dello storico Carmelo Albanese (che ha curato la prefazione), di Mauro Perini presidente dell’A.N.E.I. (Associazione Nazionale ex internati di cui è stato dato il patrocinio per la pubblicazione) di Firenze, dell’editrice Rita Genovesi.
Presente anche un folto pubblico e, a rappresentare la comunitĂ sancasciansse, il sindaco Roberto Ciappi.
“Come ho ricostruito la sua storia? Sono andato dalla famiglia – ha raccontato Petrocelli – e mi sono trovato davanti a dei documenti importanti: il certificato di morte, una lettera che Armando inviaper dire che è costretto ad andare a lavorare con la forza, cioè “O lavori o ti spariamo”. Altro documento, un libretto di lavoro di una fabbrica di armi di Lipsia”.
“Così – ha proseguito – dalla provenienza delle lettere ho ricostruito le tappe del calvario di Armando: da Salonicco al campo lager di Siedlce, in Polonia. E, dopo, in Germania. Ma per avere piĂą dettagli possibili ho dovuto leggere i diari di altri ufficiali che hanno fatto lo stesso percorso. E dalle descrizioni ho ricostruito le condizioni terribili e le sofferenze atroci di Armando Miele”.
“Ho scoperto anche che sulla sua strada ha incontrato uomini straordinari – ha raccontato ancora Petrocelli – come Alessandro Natta, Giovannino Guareschi, Gianrico Tedeschi, Enzo Paci, Roberto Rebora, Carmelo Cappuccio, Leonetto Amadei (capo baracca di Armando Miele), Giuseppe Lazzati (nominato venerabile nel 2013), Giorgio Girardet, Marcello Lucini autore del libro “Seicentomila italiani nei lager” (Rizzoli)”.
Armando Miele muore nell’ospedale di Amstadt, a 160 chilometri da Lipsia, il 6 aprile 1945.
In questo libro, ben dettagliato, Antonio Petrocelli lascia alle future generazioni un pezzo di storia sfuggito ai piĂą.
Miele è uno dei cinquantamila che non hanno fatto ritorno in Italia: e chissĂ quanti nomi sono incisi, come il suo, sui nostri monumenti. Ai quali non facciamo caso… .
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