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giovedì 28 Marzo 2024
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    Veronica Botelho Chaves: la nuova vita a Greve, affascinata dal volo della Colombina

    Vi raccontiamo la storia di una donna che studia le persone e le culture. E che è rimasta affascinata dal Chianti

    GREVE IN CHIANTI – Ha vissuto in molti Paesi del mondo, ma ha scelto di mettere radici a Greve in Chianti… affascinata dal volo della Colombina di Pasqua.

     

    E' la storia di una donna che studia le persone, le culture, che vorrebbe che vivessimo meglio e in maggiore armonia. Gli uni con gli altri. E' la storia di Veronica Botelho Chaves.

     

    Veronica, dal… mondo (anch se viveva già a Firenze) a Greve in Chianti: come e perché questa scelta? 

     

    "Sono una scrittrice, meta-analista culturale e laureata in psicologia. La prima volta che sono venuta a Greve è stato 10 anni fa, la domenica di Pasqua per il volo della Colombina. Ero incinta della mia prima figlia e ricordo di essere rimasta colpita dall’energia che si respirava quel giorno, dai sorrisi, dai colori… dalla piazza! In quel momento vivevo a Firenze, da circa 2 anni. Per un breve momento ho pensato: “Come sarebbe bello vivere in un posto così, che sembra quasi rimasto fermo nel tempo, però pieno di tanta vita ed energia”. Mi sono incuriosita. Quando è nata mia figlia, appena potevo prendevo la macchina e andavo fuori Firenze, venivamo spesso al parco giochi di Sant’Anna. Non sono mai stata la mamma che porta i figli ai giardini, però venivo a quelli di Greve perché c’era tutta un’altra atmosfera: era più tranquillo, poche persone e quando c’era qualcuno, ci salutavamo, ci sorridevamo".

     

     

    Insomma, quasi una sorta di innamoramento…

     

    "Più di una volta sono venuta per la festa del vino, a mangiare, a passeggiare. Venivo a Greve quando sentivo il bisogno di sentirmi a casa, però in realtà non avrei mai pensato di venire veramente a viverci, almeno non consciamente. Alla fine, dopo 6 anni, sono riuscita a convincere il mio marito (fiorentino) a trasferirsi in campagna e siamo venuti a vivere a Greve, in una casa con giardino. Oggi, 4 anni dopo, io, le mie figlie e il nostro cane, ci siamo trasferiti un’altra volta, sempre a Greve però… in piazza, proprio in mezzo, come un sogno del mio inconscio che si avvera. Ho fatto bellissime amicizie, ho imparato e continuo ad imparare ogni giorno pezzi di storia del Chianti, una terra così bella e intensa, ricca di insegnamenti, fino al punto che il mio primo libro è nato qua, ma anche il mio progetto a cui tengo tantissimo. La mia famiglia e i miei amici all’estero, mi chiedono cosa faccio ancora qua, io rispondo sempre che l’Italia è un Paese complesso, che dopo quasi 12 anni lo sto ancora assaporando e digerendo, ci sono troppi input, molte cose da scoprire, sento che ancora ha tanto da darmi e che anch’io ho molto da dare. Mi dispiace vedere questa polarizzazione politica e sociale, uno contro l’altro, l’aumento del razzismo. Voglio anch'io, nel mio piccolo, contribuire ad un cambiamento…".

     

    Di cosa si occupa in particolare? Quale il suo campo di specializzazione?

     

    "Mi sono laureata in Psicologia all’Università di Firenze. Durante gli anni di studi, in contemporanea facevo ricerche nel campo di psicologia, antropologia, sociologia e neuroscienze culturale. Poi ho fatto un corso all’Università di Freud, a Vienna, nel campo di Psicologia Culturale. Secondo un professore e ricercatore dell’Università di Tokyo, che tra l’altro sono riuscita a portarlo a Greve insieme ad un professore e psicologo tedesco, sono una meta-analista culturale. Lui ritiene che i miei studi sono il risultato diretto delle mie esperienze, siccome ho vissuto in 15 città di 6 Paesi diversi, oltre ad aver viaggiato tantissimo, riesco a guardare e osservare le diversità culturali da un punto di vista più neutrale, riuscendo ad individuare i suoi punti positivi e accettando quelli negativi".

     

    Insomma, una osservatrice preziosa. In particolare in questi tempi.

     

    "Una mia amica dice che sono come una pianta acquatica che riesce ad avere radici ovunque. Io credo di aver sviluppato una sorta di plurietnocentrismo (termine che credo di aver coniato), riesco cioè a sentire ogni posto come se fosse mio, e mi fa male quando le persone iniziano a criticare i luoghi, qualsiasi essi siano. È proprio il risultato di queste esperienze di vita che mi ha fatto individuare il mio campo di specializzazione, insieme al fatto di aver lavorato per diversi anni a Barcellona su tematiche di “inclusione sociale”. Il mio lavoro si concentra nel guidare le persone ad una maggior consapevolezza sociale e culturale, una consapevolezza del mondo che viviamo e che appartiene ad ognuno di noi. Aiuto a moltiplicare la percezione di una stessa situazione, partendo dal concetto che: percepiamo il mondo in relazione al luogo in cui siamo cresciuti, per questo siamo tutti vulnerabili e cadiamo facilmente nell’errore di discriminare e criticare ciò che riteniamo diverso, da quello a cui siamo abituati. Parlo e lavoro quotidianamente in cinque lingue".

     

    Quali i prossimi progetti in partenza? Sappiamo che parlerà di multipercezione culturale…

     

    "Attualmente, insieme a persone che vivono in diversi luoghi del mondo (Italia, Portogallo, Australia, Brasile, Spagna, Svezia…) stiamo mettendo le basi per la creazione dell’“Institute of Cultural Intelligence”. Al momento l’idea è di riuscire ad auto-finanziare la ricerca attraverso i corsi di formazione e libri che stiamo preparando, una vera e propria research-action transculturale. Il 4 maggio ci sarà il primo corso di Multipercezione culturale a Firenze (alla libreria Marabuk), a marzo ho dato una lectio magistralis all’Università di Barcellona, però qui in Italia sarà la prima volta. Il 5 maggio invece, terrò un incontro al circolo di Montefioralle, in cui parlerò di razzismo, integrazione, interazione, multiculturalismo, psicologia culturale… e ovviamente multipercezione culturale. La multipercezione culturale è un nuovo inquadramento teorico coniato da me, basato su l’autoetnografia. Confrontarsi con più punti di vista ci permette di riflettere sulle diverse interpretazioni che diamo quando ci basiamo esclusivamente sul nostro punto di vista. Imparando a guardare/immaginare con gli occhi degli altri, ci avviciniamo, e in maniera graduale e sottile, il nostro etnocentrismo viene neutralizzato".

     

     

    Mettersi nei panni e negli occhi degli altri. Che sfida Veronica…

     

    "Quando sviluppiamo un “plurietnocentrismo” (percepire ogni posto come proprio), questo ci porta ad utilizzare le funzioni cognitive che abbiamo sviluppato, diventando parte integrante della mediazione interculturale. È un apprendimento continuo e dinamico, perché ogni volta che conosceremo una nuova persona, il nostro cervello osserverà, non cercherà di catalogare e stereotipare. Il nostro modo di percepire il mondo è già cambiato. Per potenziare lo sviluppo di una multipercezione culturale, ho ideato un metodo innovativo ed esclusivo basato su quello che ci accomuna, cioè, le emozioni, sullo sviluppo dell’intelligenza culturale (capacità di adattarsi ad ambienti diversi), mindfullness… in cui utilizzo tecniche e studi proveniente da 5 continenti. Tengo a precisare che quando parlo di culture diverse, non mi riferisco solo a quelle di Paesi diversi, parlo di contesti, realtà diverse. Chi vive in città ad esempio non percepisce il mondo come chi vive in paese. Una persona considerata normodotata non lo percepisce nello stesso modo di una persona diversamente abile, come anche un bambino percepisce il mondo diversamente di un adolescente… sono tutte parti di contesti diversi, culture diverse. Il nostro cervello si forma integrandosi con il contesto in cui cresce. Siamo tutti vulnerabili al contesto in cui siamo cresciuti. Dobbiamo decostruire e ricostruire la nostra percezione, sviluppando una multipercezione culturale, arrivando a percepire il mondo che ci circonda nella sua globalità, senza giudicare ciò che riteniamo diverso, ma osservando e imparando proprio dalla diversità. La diversità come risorsa, come un modo per costruire un mondo migliore, di cui tutti siamo responsabili. Come una volta mi ha detto mia figlia più grande: “siamo come pezzettini di un puzzle gigante che si chiama mondo”…".

     

    Quale, da questo punto di vista, la realtà grevigiana e chiantigiana? E' un mondo aperto o chiuso in se stesso?

     

    "Secondo me non esistono posti chiusi su loro stessi, esiste la mancanza di stimoli, e questo non è una cosa che sento accadere solo qua nel Chianti, ma credo sia una problematica un po’ generale nei giovani in Italia. Ci sono ovviamente eccezioni, però in generale vedo paura nel seguire i sogni, anzi, vedo proprio una mancanza di sogni. Viene tutto riassunto nell’la ricerca del “contratto a tempo indeterminato”. Non importa se piace o non piace quello che si fa. E questo non è colpa dei giovani, ma proprio della mancanza di esempi da seguire. La classe intellettuale italiana (e credo non solo quella), si è chiusa in sé, passano il tempo a criticare le nuove generazioni. C’è una sorta di “etàcentrismo”, delle generazioni che si credono superiori a tutte le altre, oserei dire che va dai 35 ai 60 circa. Non ascoltiamo i giovani, crediamo di fare tutto bene da soli, ignorando che i giovani hanno qualcosa che spesso a noi manca: creatività, speranza, voglia di cambiare. Ma non ascoltiamo neanche i più grandi che hanno saggezza ed esperienza. Mentre, tutti quanti abbiamo qualcosa da insegnare, e soprattutto i bambini. È come mettere insieme passato, presente e “futuro”, qui ora, per costruire un futuro migliore basato nell’unione delle tre storie. Secondo me ignorare l’importanza di relazioni intergenerazionali, interculturali è chiudere la porta alla possibilità di innovare, cambiare, aggiustare… di sognare, è chiudere la porta alla possibilità di unirci per un mondo migliore. So che qui a Greve grazie all’iniziativa della Cooperativa La Stadera apriranno un bar sociale. Creeranno uno spazio dove far interagire realtà e generazioni diverse. Ne sono felice, perché una società per andare avanti ha bisogno dell’aiuto di tutti. L’unione di più culture e menti con esperienze diverse".

    di Matteo Pucci

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

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