GRASSINA (BAGNO A RIPOLI) – Lo scultore grassinese Silvano Porcinai, tra i più interessanti artisti del nostro territorio, ha creato per la speciale occasione degli imminenti Mondiali di ciclismo a Firenze, un’opera dal titolo evocativo “Omaggio a Gino Bartali”. L’artista, che vive e lavora a Grassina, ha voluto rilasciare a questo proposito in esclusiva al Gazzettino del Chianti un’intervista per spiegare il perché di quest’opera.
Come mai una scultura su Gino Bartali?
"Mi sembrava un omaggio doveroso a questo mio conterraneo scomparso ormai nel 2000. Devo dire che Bartali mi è sempre piaciuto molto, sia come persona, sia per il suo ciclismo davvero particolare, sanguigno ed eroico. E’ stato un vero campione che è rimasto nella leggenda per le sue straordinarie imprese. Ricordo che tra le altre cose Gino ha vinto 3 Giri d’Italia e 2 Tour de France".
Quando e da chi ha sentito parlare di lui per la prima volta?
"Forse da mia madre Dina, quando io e i miei due fratelli eravamo piccoli. Lui era già molto famoso e lei ce ne parlava spesso, dicendoci che non era un uomo bello ma forte e noi stavamo ad ascoltarla incantati. Io sono nato nel 1950 e lui ha smesso di correre nel 1954. Per me fin da piccolo ha rappresentato un mito, che potevo incontrare per strada, perché abitava a Ponte a Ema, a pochi chilometri da noi. Ricordo che a Grassina il prete di San Martino, don Alcibiade Bertoletti, era senza dubbio uno dei suoi sostenitori più accaniti, insieme a Carlino Vannino di Bubè".
Cosa vi raccontava vostra madre esattamente?
"Ci raccontava spesso un aneddoto. Il padre di mia madre aveva una piccola impresa di muratori e chiamò il padre di Bartali, che si chiamava Torello, a fare uno sbanco di terra. Lui raccontava che aveva un figlio che prometteva bene con il ciclismo. Scherzosamente disse che una domenica insieme a suo figlio erano andati in bicicletta in Mugello a trovare dei parenti e che su certe “salitelle” oltre Pontassieve, se non si fosse impegnato fino allo spasimo suo figlio quasi quasi lo batteva. Quel suo figlio promettente diventerà il campione di ciclismo che tutti conosciamo".
Quando ha deciso di fare un’opera dedicata a lui?
"Ci ho pensato parecchie volte, essendo anche io un ciclista, anche se non professionista, che in più sa anche modellare la creta. Ho riflettuto questa primavera che nessuno mai aveva fatto un’opera a Bartali e mi sembrava che si dovesse fare. Nessuno me lo ha commissionato, mi sono sentito di farlo e l’ho fatto. Le sue gesta mi hanno sempre impressionato e quindi l’ispirazione mi è venuta da sola. In più, pensando alle sue incredibili imprese, ho attraversato la Francia e la Spagna in bici per ben 17 volte".
Ci parli dei suoi viaggi che spesso hanno ispiroto le sue opere…
"Erano i tempi, dal 1985 in poi, che della Francia e della Spagna avevo fatto il terreno delle mie incursioni ciclistiche. Stavo via anche 25 giorni e giornalmente facevo circa 180 km. Una volta arrivai fino a 230 km, ero alleatissimo. Dal passo di Roncisvalle il più facile, andavo a Pamplona, qualche volta attraversavo il passo di Somport, con in vetta la neve, e da La Pier di San Martin, la salita più difficile; erano questi i passi dai quali mi fiondavo in Spagna, giù per le discese. Da Pamplona in 7 o 8 giorni, passando dall’Estremadura, ero a Tarifa. I viaggi passavano immancabilmente da Cordoba a rendere omaggio, talvolta anche floreale, alla tomba di Manolete, grande personaggio coetaneo di Bartali, che nel 1947, a soli 30 anni, Islero, il toro di Miura, lo trasformò in ricordo. A questo torero ho dedicato a Impruneta un bassorilievo in terracotta di 8 metri, che si trova al muro del Credito Cooperativo".
Chilometri su chilometri…
"Altra meta di Spagna era la visita alla città di Santa Teresa d’Avila, circondata da 250 torri e con i campanili pieni di cicogne, animali dervisci, pieni di sonnolenza, come li definiva Federico Garcìa Lorca. Per raggiungere Avila, quando ero a Lourdes, mi capitava sempre di forare una ruota della bici. Un giorno forai per ben 3 volte. Tutti i viaggi di Spagna, a parte uno, in cui finii all’ospedale come un vero corridore, un'altra volta mi derubarono e un'altra mi rubarono la bici a cui ero affezionatissimo, andarono benissimo, anche grazie alla mia fede in Santa Teresa d’Avila, come “Ginettaccio” era devoto, come tutti sanno, a Santa Teresa del Bambin Gesù. Ricordo che quando mi fermavo nelle trattorie e nei bar, vedendomi che ero un ciclista, mi chiedevano sempre di Bartali. In Spagna inoltre quando visitavo le chiese, anche i preti mi chiedevano di Coppi e Bartali, in quanto il ciclismo è una passione coagulante. L’unica volta che sono stato scacciato da ciclista fu da una monachella a Talavera de la Reyna, dove ero a curiosare, visto che questo luogo, oltre che vedere i soldati di Napoleone messi in fuga dal Duca di Wellington, è tristemente famoso perché nel 1920, trovò la morte, da parte toro Bailaor (Cico, Cinqueno, Burricego, Astifigno e Manso), Joselito, il più grande torero mai esistito".
Lei lo ha mai conosciuto Gino Bartali?
"L’ho visto tante volte, ma in realtà non ci ho mai parlato. Una volta mi ricordo quando ero giovane e ancora lavoravo come orafo, abbiamo quasi fatto uno scontro frontale. Eravamo tutti e due con la bici, solo che lui veniva contro mano ed era già settantenne. Appena l’ho visto sono riuscito a evitarlo per poco. Mi sono sentito il suo sguardo penetrante addosso, quasi come a dire "…sei tu quello più giovane e quindi devi stare pronto e attento…" quasi a rimproverarmi. Aveva ancora una pedalata leggera e tagliente, che ricorderò per sempre, mentre con in mano il manubrino stretto della bici sportiva, non doveva essere troppo a suo agio".
Ci racconti di questa sua ultima opera…
"Ne ho eseguite due, una è in creta e una è in gesso patinato a bronzo. Sono molto contento perchè quella in gesso è stata scelta per essere esposta al Mandela Forum, nella sala dove verrà fatta la conferenza stampa per i Mondiali di Ciclismo 2013. Di questo non nego di essere molto contento. Si tratta di un’opera imponente alta circa 3 metri, che ritrae Bartali in un momento di trionfo, mentre alla fine del Tour de France 1948, sorregge il mazzo di fiori. In futuro questo è un soggetto che svilupperò ancora, in quanto ricco di suggestioni artistiche".
di Cecilia Barbieri
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