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venerdì 19 Aprile 2024
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    Fotoreporter tavarnellino colpito dall’artiglieria russa a Cherson: il racconto di Niccolò Celesti (e il video)

    42 anni, vive al Morrocco, è alla terza missione in Ucraina dopo quella a Kiev-Buča nelle prime settimane di guerra e a Cherson in estate

    BARBERINO TAVARNELLE – Niccolò Celesti ha 42 anni. Una fidanzata. Quattro cani. Vivono nella campagna di Barberino Tavarnelle, al Morrocco.

    Niccolò di mestiere fa il fotografo-fotorporter. In questo momento è in Ucraina, per la sua terza missione nelle zone di guerra.

    E ieri, martedì 20 dicembre, l’auto sulla quale viaggiava, insieme a Claudio Locatelli (il “giornalista combattente”), è stata colpita da un colpo di artiglieria (qui sotto vedete il video).

    “Siamo vivi per miracolo – ha scritto nei momenti successivi sui propri canali social – i frammenti delle esplosioni non hanno passato la plastica interna ma solo la lamiera esterna della macchina e quelli che sono entrati dentro non ci hanno colpiti”.

    Lo contattiamo per farci raccontare cosa è avvenuto. Per farci spiegare perché è lì. Cosa lo spinga a rischiare la vita ogni giorno in zone che, inevitabilmente, presentano rischi di livello elevato.

    Niccolò, innanzi tutto ci può raccontare come è arrivato… a Barberino Tavarnelle?

    “Sono nato a Firenze, vissuto lì, poi all’estero. Quando sono tornato in Italia ho deciso di trasferirmi in campagna, ed ecco la scelta del Morrocco. Sono un fotografo-fotoreporter”.

    E’ la sua terza missione in Ucraina da quando è iniziata la guerra?

    “Sì, è la terza volta che torno. Ero già stato in due missioni, a Kiev-Buča nel primo mese e mezzo e, in estate, sempre nella zona di Cherson. Adesso sono tornato qua con Claudio Locatelli”.

    Ci racconta cosa è avvenuto ieri?

    “Stavamo verificando le condizioni di questo villaggio, Antonivka, a nord di Cherson: c’eravamo stati anche il giorno prima, avevamo avvertito dei colpi di artiglieria passando con l’auto, ma non pensavamo che fossero per noi. Anche se avevamo un sospetto: è un posto molto esposto, proprio sulla linea del fronte, lì la visuale per i russi è molto buona”.

    Cosa stavate facendo nello specifico?

    “Ieri siamo tornati, stavamo andando a verificare se in un cimitero c’era un funerale, anche se sapevamo di essere in ritardo. Quando siamo arrivati lì (sorge un po’ in collina, su una strada perpendicolare al fiume), abbiamo parcheggiato l’auto dietro a un muro, tenendoci in copertura, come facciamo sempre. Probabilmente però i russi hanno visto il muso dell’auto per un attimo fuori dal muro che avevamo scelto come riparo, e hanno colpito. Eravamo dentro. Io avevo la go-pro accesa proprio mentre arrivava il colpo di artiglieria”.

    Come è andata quindi?

    “La portiera dell’auto ha schermato le schegge dell’esplosione, che hanno passato la prima parte della carrozzeria ma non la seconda, dove ci sono gli ingranaggi e le plastiche. Non abbiamo avuto conseguenze, solo Claudio ha avuto una escoriazione a un orecchio per via dell’esplosione del vetro dalla sua parte (tutti i finestrini sono esplosi). Certo, il botto è stato grosso, la fuga rocambolesca: in quei casi infatti c’è il ri-puntamento dell’arma, siamo riusciti ad andare via lungo le stradine”.

    E i russi hanno smesso subito?

    “Hanno continuato a bombardarci, ma siamo riusciti ad arrivare in un luogo sicuro. Ed è ripartita una schermaglia, altri ordigni sono piovuti intorno, per fortuna eravamo vicini a una postazione tranquilla”.

    E’ la situazione più pericolosa che si è trovato ad affrontare in queste sue trasferte ucraine?

    “Difficile da dire, chiaramente è stato un evento abbastanza importante. A Irpin mi aveva sparato un cecchino, poi siamo stati sotto i colpi di mortaio. Insomma, non si può fare una classifica…”.

    Come è la situazione ad oggi? Anche per svolgere il vostro lavoro?

    “Diciamo che abbiamo avuto una prova del fatto che ci stanno targettizzando, e che sarà sempre più difficile lavorare in queste condizioni. Ma c’è da aspettarselo, sono zone di guerra”.

    La popolazione locale? Come la vedete?

    “Gli ucraini mi hanno sempre dato una bella impressione, quella di persone coraggiose, patriottiche e orgogliose. Fin dall’inizio. Non hanno perso questo spirito: è chiaro che ci sono zone che vivono momenti più complicati e in cui è più difficile mantenerlo. Questa estate ero sulla linea del fronte, in una città bombardata tutti i giorni. Ma la gente, chi era rimasto, cercava di vivere, di far funzionare le fabbriche, i caffè, i negozi. Il fronte adesso è a Cherson, ma anche qui gli ucraini continueranno a non aver paura, a lavorare, a sostenere l’economia, a cercare di vivere. Moltissimi dei profughi che erano usciti all’inizio, a parte donne e bambini, sono rientrati. Dando ognuno il proprio contributo, anche nel mondo del lavoro o del volontariato. Impariamo molto dalla reazione che sta avendo questo popolo”.

    Fino a quando rimarrà?

    “Indipendentemente da quanto avvenuto ieri, avevo già in mente di tornare il 23 dicembre in Italia; poi tornerò qua con un’altra missione che sto realizzando in autonomia. In questo momento infatti faccio parte della troupe di Claudio Locatelli, ma ho anche il mio progetto specifico”.

    L’attenzione verso questa guerra, in Italia e nel mondo occidentale, è scemata molto?

    “Lo scopo di questo lavoro è proprio quello di mantenere i riflettori accesi. I primi 2-3 mesi sono stati super seguiti, qua c’erano centinaia di reporter. Una presenza che è andata scemando giorno dopo giorno, a meno che non accadano eventi eclatanti. Il nostro lavoro è quello di tenere l’attenzione alta sul conflitto, oltre che investigare su determinati fatti che avvengono. In alcuni momenti è facile, in altri è più difficile, ma bisogna cercare di lavorare sul campo. Anche se non abbiamo un grande ritorno economico, visto che per stare qua servono cifre importanti. Ma è un impegno che va anche oltre la professione, è eticamente giusto esserci”.

    Come si bilancia, infine, l’essere in luoghi del genere con il pensiero verso chi è a casa?

    “E’ la parte più difficile, quella delle persone a casa che si preoccupano; noi siamo abituati a questi teatri e a questi rischi. E, proprio per questo, spesso è difficile avere una vita privata. Io sono fortunato, a casa ho una fidanzata con quattro cani. E il primo pensiero dopo l’esplosione di ieri è andato proprio lì: verso chi è a casa, sapendo che si sarebbe preoccupato…”.

    Se volete seguire il lavoro di Niccolò, potete farlo sui suoi canali web e social.

    📱💻 Facebook: https://www.facebook.com/NiccoloCelestiPhoto

    📱💻 Instagram: https://www.instagram.com/niccolocelestiphoto/

    📱💻 Sito web: www.niccolocelesti.com

    @RIPRODUZIONE RISERVATA

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