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sabato 20 Aprile 2024
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    L’orologio ha scandito l’ultimo secondo: addio a Dario Fusi. Tavarnelle saluta il suo “Fusino”

    Uno dei simboli del paese, per cinquant'anni orologiaio con la bottega in via Roma. Ricostruiamo la storia di un personaggio pieno di interessi e sfaccettature: tenace, innovatore, solare

    TAVARNELLE (BARBERINO TAVARNELLE) – Lunedì 8 febbraio se ne è andato Dario Fusi, per tutti il “Fusino”: un simbolo di Tavarnelle, un pezzo di storia del paese, conoscitore di una forma d’artigianato ormai (purtroppo) in estinzione.

    Orologiaio per tutta la vita, ha gestito la sua bottega in via Roma per la bellezza di cinquant’anni. Da solo, in maniera indipendente, proprio come ha fatto con la sua vita.

    Puntiglioso. Curioso. Si dava un gran daffare. Tenace: non esisteva per lui che ci si abbattesse. Egocentrico (nel senso buono del termine), gli piaceva stare al centro dell’attenzione. Sempre tranquillo, gioviale, solare. Non c’era un cliente che non lo apprezzasse.

    Innovatore, guardava avanti. Fu uno dei primi a Tavarnelle a prendere la patente negli anni Sessanta. E fu il primo ad avere una radio a transistor, piccola e senza filo: super all’avanguardia per l’epoca.

    A bordo delle sue Fiat Cinquecento, ha viaggiato in lungo e in largo per l’Italia negli anni del boom economico. Ha recitato in una compagnia teatrale e suonava il violino. E’ stato nel consiglio del Crc La Rampa per alcuni anni. Gli piaceva scattare e sviluppare le foto: ricevette persino un premio.

    Ma il suo amore viscerale era per gli orologi. Ne aveva tantissimi. Adorava i pendoli. Odiava l’orologio al quarzo, anche se al polso portava quello perché era preciso e gli serviva per regolare gli altri. Nel suo c’era persino la sveglia!

    E poi nel suo cuore c’erano i suoi nipoti (Massimo Cubattoli e Tina Nelli): i suoi pupilli, avrebbe fatto qualsiasi cosa per loro. Così come per i suoi pronipoti, Filippo Cubattoli e Fabio Gazzarrini.

    “Nato a Bonazza nel 1926, riuscì ad arrivare alla quinta elementare – a parlare è Filippo – Nonostante non avesse neppure la licenza media, parlava bene e sapeva tante cose, perchĂ© leggeva molto”.

    “Durante la guerra fu rincorso dai tedeschi e assistĂ© a una “battaglia di aerei” – ci riporta quello che il “Fusino” gli aveva raccontato – Costruì la radio a galena per seguire i movimenti degli alleati. La teneva nascosta sotto al letto: se i tedeschi lo avessero trovato con la radio, lo avrebbero fucilato”.

    Dopo la guerra si trasferì in paese, sopra la chiesa di Sant’Anna. E poi in via Spicciano, dove abitava tuttora.

    “Era appassionato di fotografia – dice Filippo – PiĂą che altro era per lui uno strumento per esprimere le sue due piĂą grandi passioni: la micromeccanica e i viaggi. Andava, con due o tre amici, in questi posti che oggi definiremmo “instagrammabili” (tipo Civita di Bagnoregio, dove mi portò quando avevo solo due anni) e faceva foto non solo ai paesaggi, ma soprattutto alle persone”.

    “Aveva una Nikon F2 – aggiunge – E serbava la Kodachrome (per sviluppare un rullino servivano… 60.000 lire!) per le occasioni speciali”.

    “Quando cominciò la transizione tecnologica si mise al passo con i tempi – ricorda – Nei primi anni Novanta si dotò subito del cellulare: lo affascinavano gli oggetti piccoli. E poi trasferì la sua “roba” sui Dvd. Anche se ci rimase un po’ male quando si accorse che dopo un po’ i Dvd non funzionavano piĂą, mentre le sue diapositive di cinquant’anni prima erano sempre… come nuove”.

    “Nelle cose piĂą tecnologiche mi coinvolgeva spesso – sorride Filippo – Ma, se ti coinvolgeva a fare una cosa, dovevi farla come diceva lui: eri un mero esecutore. Non dava l’ordine preciso, perchĂ© era diplomatico: per cui arrivavi ad eseguire… per approssimazioni successive”.

    “Era uno spirito libero – interviene Fabio – Non ha mai voluto una donna per paura che gli mettesse il laccio al collo. Ma, a modo suo, si è costruito una famiglia: sua sorella morì mentre lui stava facendo il servizio militare, lasciando una bambina di tre anni (mia mamma Tina), che lui ha tirato su”.

    “Il mestiere dell’orologiaio, fatto di silenzio, precisione e concentrazione, si confaceva perfettamente a lui – la voce si rompe – Lo apprese da suo zio Adamo, che aveva avuto due figlie femmine. Nel dopoguerra iniziò a lavorare con lui, poi si specializzò a Firenze”.

    Apprese questa antica arte nel momento del passaggio dell’orologio da tasca a quello da polso: in un primo momento si occupò soprattutto di modificare le “cipolle” per adattarle al polso.

    “Nel 1948 aprì la bottega in via Roma, nel fondo della Maria di Barinco – racconta – Era piccolissima. Si sentiva il ticchettio delle sveglie e degli orologi a pendolo. Tutto era preciso e regolato. Dietro il banco c’era lui che riparava gli orologi con molta tranquillità”.

    Indelebile nella mente dei tavarnellini è l’immagine del “Fusino” con la sua “spolverina” nera e il monocolo: “Ne aveva centomila, ma usava sempre i soliti due, tutti rabberciati. Gliene comprai due su Amazon: “Grazie, grazie” mi disse. Non li ha mai usati”, dice Filippo sorridendo.

    “Nel negozio scorreva tutta la vita del paese, nel bene e nel male – era proprio così – Dal “Fusino” andava la coppia di futuri sposi per acquistare le fedi o la nonna che voleva fare un pensierino alla nipote per la Comunione. C’era chi gli portava un monile e lui lo trasformava in qualcos’altro. E da lui andava a vendere l’oro chi si trovava in una situazione economica difficile”.

    “In seguito ad una rapina, che lo lasciò sconvolto, nel 1998 chiuse (a malincuore) la bottega – ricorda Fabio – Andato in pensione, ricreò a casa sua il negozio e continuò ad avere dei clienti: del “Fusino” si fidavano per la serietĂ  e la precisione”.

    Una buona parte degli oggetti del “Fusino” è stata da lui donata al Museo di Arte Sacra di Tavarnelle (alla Pieve), in occasione del suo 90esimo compleanno. Quando noi del Gazzettino del Chianti abbiamo avuto il privilegio di conoscerlo.

    # Antichi mestieri: il “Fusino” ha donato i suoi attrezzi da orologiaio alla comunità tavarnellina

    “Non avendo lasciato eredi, voleva lasciare un segno tangibile – si commuove Fabio – La festa dei 90 anni ha suggellato il rapporto tra lui e il suo paese: ha voluto rendere qualcosa a coloro che per anni gli avevano dato da vivere”.

    “Lo voglio ricordare come cinque anni fa – conclude Fabio con gli occhi lucidi – Felice, in quella che è stata l’unica festa della sua vita”.

    Via Roma sotto la neve, in una foto scattata dal Fusino negli anni Sessanta

    @RIPRODUZIONE RISERVATA

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