TAVARNELLE – Una domenica emozionante quella del 3 aprile a Tavarnelle. Che all’insegna della tradizione paesana ci ha riportato alla mente i personaggi delle botteghe e la vita che in esse si svolgeva.
Tanti ex clienti, parenti e amici sono accorsi alla Pieve di San Pietro in Bossolo per festeggiare uno di quegli artigiani che hanno fatto la storia di Tavarnelle. E per assistere alla riapertura straordinaria del suo laboratorio… nel Museo di Arte Sacra.
Piccolo grande orologiaio che tutti ricordano col capo chino e l’immancabile monocolo, è il “Fusino” (all’anagrafe Dario Fusi) ad averci fatto, il giorno del suo novantesimo compleanno, un regalo e pure molto prezioso.
Donando i tesori del suo mestiere, ha arricchito il museo e l’intera comunità con un banco completo di oggetti appartenuti a ben tre generazioni. E nell’occasione, tra la sua commozione e gli applausi dei presenti, ha spento le candeline su una torta a tema. Orologi, naturalmente.
Insomma un bell’esempio di un uomo che si è dedicato con passione ad un’arte purtroppo scomparsa. Ed una reciproca manifestazione di gratitudine tra lui e la popolazione che, a vent’anni dalla chiusura dell’attività, gli ha manifestato ancora un grande affetto.
“Adesso che sono le sedici – esordisce Dario Fusi, guardando le lancette – ho novant’anni e sei ore. Nato il 3 aprile 1926, sono stato battezzato alla Pieve. Ecco perché proprio oggi in questo luogo ho deciso di devolvere il mio banco”.
“Visto che non eravamo dei giganti – dice sorridendo – a partire da mio nonno Settimo siamo stati chiamati tutti Fusino. Lo zio Adamo mi ha dato un’infarinatura dell’arte del mestiere che poi ho praticato per cinquant’anni: il resto l’ho appreso con l’esperienza”.
“Vi mostro il mondo di lavoro di un povero artigiano – prosegue – Oltre ad attrezzi come il monocolo e gli occhiali, ci sono due orologi senza cassa, diversi da polso, uno in legno di ulivo che ho appena finito di costruire ed alcune sveglie”.
“Tra queste la dorata ufficialessa – sottolinea il “Fusino” – Fabbricata dalla Junghans, fu commissionata da Napoleone per i suoi ufficiali affinché, ritardatari, arrivassero in tempo alle riunioni mattutine con il generale”.
“Speciale la storia di uno dei due orologi senza cassa – ricorda ancora – Negli anni tra il 1928 e il 1930, c’era una miseria paurosa. Dopo aver mangiato una scodella di minestra di pane, la sera i contadini uscivano e prendevano una sigaretta dal tabacchino”.
“Mentre la fumavano tra una chiacchiera e l’altra – continua – giunse la notizia che Giacomino si sarebbe sposato. Allora qualcuno propose di andare dal Fusino a comprargli un bell’orologio come regalo di nozze”.
“Dopo poco la famiglia si allargò – racconta ancora Dario – Donna Nunzia, la moglie di Giacomino, aveva bisogno di soldi per comprare le scarpe al figlio. Così portò l’orologio dal Fusino per venderglielo. L’orologiaio, inteneritosi, tolse la cassa d’argento e la cambiò in lire”.
“Oltre che al sindaco David Baroncelli, don Franco Del Grosso e ai miei due nipoti angeli custodi – dice commosso – un ringraziamento di cuore va a voi che oggi così numerosi avete partecipato. E che mi avete portato lavoro fino all’ultimo secondo prima di andare in pensione”
“Ho avuto l’opportunità di fare per tutta la vita ciò che amo – conclude lo storico orologiaio – Le tecnologie vanno avanti, ma diverte troppo di più smontare e rimontare un orologio e sentire di nuovo… tic tac”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA