Un giardiniere fiorentino di 37 anni, venerdì scorso ha rischiato di morire per la puntura di un calabrone. Già "pinzato" in passato da alcune vespe che gli avevano procurato gonfiori locali, mentre stava lavorando è stato punto al naso dall’insetto.
Insieme al prurito tipico di un’orticaria, ha iniziato ad avere difficoltà a respirare fino a perdere conoscenza. Fortunatamente prima di perdere i sensi è riuscito a chiamare il 118. Il personale dell’emergenza prontamente accorso al Galluzzo lo ha trasportato all’ospedale di Torregalli iniettandogli durante il tragitto l'adrenalina che ha impedito lo choc anafilattico.
Ricoverato per un giorno è stato poi dimesso, ma ora verrà preso in cura dalla task force messa in piedi già dal 1985 dall’Azienda sanitaria di Firenze al San Giovanni di Dio, nell’ambito dell’allergologia e dell’immunologia clinica, e divenuta punto di riferimento per l’intera Toscana e anche fuori dai confini regionali.
L’equipe si avvale anche della collaborazione di dermatologi, ematologi e anestesisti ed è in grado di intervenire quando il pungiglione di un imenottero scatena in un individuo reazioni che possono essere mortali. Alla struttura si rivolgono in media ogni settimana 6 pazienti allergici a quel veleno, e più di 600 persone ogni mese effettuano la vaccinazione, il 60% dei quali proveniente da altre Asl.
Gli imenotteri sono un ordine di insetti che comprende oltre 120.000 specie diffuse in tutto il mondo, di piccole, medie e grandi dimensioni, terrestri, alati o atteri, tra i quali sono comprese le api (Apis mellifica), le vespe (Vespula spp e Polistes spp) e i calabroni (Vespa crabro e Vespa orientalis).
La loro puntura può provocare edemi cutanei estesi, superiori anche ai 10 cm e capaci di perdurare per più di 24 ore, reazioni generalizzate (orticaria/angioedema, asma, edema della glottide, dolori viscerali, perdita di conoscenza) e addirittura, anche se raramente, può essere fatale. Si calcola che un 19% della popolazione sia esposta a reazioni di tipo locali, percentuale che scende tra lo 0,4% ed il 5% se si considerano solo le reazioni sistemiche.
Il dottor Maurizio Severino, responsabile di questo Centro, spiega che è importante distinguere "il tipo della sintomatologia, perché dopo una reazione sistemica il rischio di sviluppare una risposta analoga in caso di nuova puntura è compresa tra il 40% ed il 65%. Invece solo il 5-10% dei pazienti con anamnesi di reazioni locali estese sviluppa una reazione sistemica alla successiva puntura. Entrambi i tipi di reazione sono comunque motivo di valutazione allergologica".
A chi dunque è stato punto con conseguenze gravi può capitare di diventare allergico e rischia, se la cosa succede di nuovo, di stare ancor peggio. È qui che inizia il lavoro del Centro che fa parte del gruppo di ricerca sull’allergia al veleno d’imenotteri della Società italiana e dell’Accademia europea di allergologia e immunologia clinica.
Per la diagnosi è molto importante che il paziente racconti la reazione avuta, perché se ha già presentato una reazione importante e grave, il rischio di riaverne in futuro un'altra uguale alla precedente è alto: un paziente su due riavrà gli stessi sintomi. Ecco perché gli viene prescritto l'autoiniettore di adrenalina dispensato gratuitamente dalle farmacie ospedaliere.
Per comprendere se un paziente ha sviluppato un’allergia specifica si parte dai test cutanei, principale prova della sensibilizzazione al veleno. Le prove allergologiche sulla cute costano meno, sono più sensibili e veloci di quelle sul sangue.
Recentemente è stato introdotto un esame, la triptasi, che consente di comprendere in chi ha già avuto reazioni da puntura di imenotteri quali sono i pazienti maggiormente a rischio per il futuro di reazioni allergiche rispetto alla popolazione in generale e quindi se è opportuno vaccinarlo, controllarlo e seguirlo per tutta la vita
Spesso un paziente non ha riconosciuto l'insetto che lo ha punto oppure è positivo ai veleni di diversi imenotteri. Il laboratorio della Asl 10 ha messo a punto una metodica (la rast inibizione) che consente di individuare il veleno più pericoloso per quel paziente e quindi di vaccinarlo con un solo veleno anziché con due o tre.
Una volta verificato che è allergico al veleno di quell’insetto è possibile avviare trattamenti di prevenzione basati sulla vaccinazione o sull’immunoterapia specifica (ITS) con veleno purificato, quest’ultima in grado di prevenire l’anafilassi in oltre il 90% dei pazienti trattati e, evento di grande importanza, le reazioni mortali nel 100% dei casi. I veleni per la vaccinazione in Toscana sono gratuiti per tutti i cittadini che, positivi ai test, ne hanno necessità.
Ci si “mitridatizza” con diversi tipi di terapia, alcune eseguibili in poche ore (“rush immunotherapy”), che possono avere però un’elevata percentuale di reazioni avverse, o in tre sedute, effettuate a giorni alterni. La terapia deve essere effettuata in ambiente idoneo, attrezzato per la rianimazione in caso di necessità, il che è più frequente con le vaccinazioni per le api che non per le vespe. Una volta raggiunta la dose di mantenimento, “l’antidoto” va preso ancora per almeno 5 anni ad intervalli mensili. Ma si è così scongiurato il rischio del peggio.
"La valutazione più affidabile dell’efficacia dell’immunoterapia specifica – dice ancor il dottor Severino – è il test di provocazione con l’insetto vivo: si fa pungere il paziente dall’imenottero con il cui veleno è in trattamento, in un reparto di rianimazione sotto stretta sorveglianza e con un accesso venoso. Anche le punture accidentali, dette “in campo”, costituiscono un test d’efficacia dell’Its: in questo caso sono necessarie informazioni precise finalizzate all’identificazione, quando è possibile, dell’insetto pungitore".
Nel centro di Torregalli è stato messo a punto ed è disponibile un apposito programma informatizzato che, in base alle circostanze dell’evento (ora, luogo, stagione, caratteristiche del nido,) fornisce un’identificazione di probabilità.
"Il software – aggiunge Severino – è stato realizzato dal professor Stefano Turillazzi dell’Istituto di biologia animale dell’Università di Firenze».
La collaborazione tra un immunologo e un entomologo è proprio una delle particolarità che hanno consentito di fare del centro fiorentino un’eccellenza in questo campo, che collabora costantemente anche con l’Istituto sperimentale per la zoologia agraria di Firenze e con l’Università del North Carolina.
di Redazione
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