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venerdì 19 Aprile 2024
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    Li festeggeranno a Pozzolatico insieme alla loro splendida famiglia

    Festeggeranno oggi, con tutta la loro famiglia. Con una Messa nella chiesa di Pozzolatico, a pochi metri da casa. E poi a tavola, tutti insieme. Perché per Brunetto Leoncini, 88 anni, e la moglie Marina (ne compie 86 il 10 aprile) 6 aprile 2013 vuol dire 60 anni di matrimonio.

     

    Li incontriamo al tavolo di cucina. Insieme a loro due delle tre figlie (sono Susanna e Brunetta, poi c’è Antonella) e l’unica femmina dei sette nipoti (Lisa, poi ci sono Riccardo, Alessio, Marco, Enrico, Andrea e Leonardo).

     

    Sono un po’ intimiditi, ma solo per poco. Si sciolgono subito e i ricordi iniziano a fluire: Brunetto in particolare, pian piano diventerà un fiume in piena. Da giovani vivevano tutti e due a San Donato in Poggio: famiglie di contadini, duro lavoro nei campi e poco tempo per divertirsi.

     

    “Ci siamo conosciuti alla casa del popolo di San Donato – ricorda Marina – al circolo della Filarmonica. Dopoguerra si andava lì a ballare, anche se lui… non ha mai voluto”.

     

    “Eravamo contadini – interviene Brunetto – mezzadri tutti e due”. Poi ci racconta come ha fatto ed evitare il fronte russo durante la seconda guerra mondiale: “Feci il premilitare (tutti i sabati a Tavarnelle) con la camicia nera: si faceva il corso per andare sul fronte russo con il carro armato. A settembre si doveva fare l’esame e poi partire: l’8 settembre del 1943 fu la mia fortuna. Da allora si riuscì a fuggire alla Repubblica di Salò. Il militare l’ho fatto dopo la fine della guerra”.

     

    La famiglia di Brunetto era, come tutte a quei tempi, numerosa: “Tre fratelli, due sorelle, babbo Luigi e mamma Rosa. Si viveva al Podere Belvedere, la prima casa dopo la palazzina della Fattoria Montecchio. Si era contadini del Marchese Carlo Torrigiani. A sei anni andavo a scuola e la sera con i maiali nel bosco. A dieci anni volli fare la quinta elementare: la sera all’8 andavo a piedi da San Donato alla chiesa di Cortine e lì si andava a scuola dalle 9 all’11. Sono cresciuto così fino a quando ho trovato lei per combinazione…”.

     

    Marina se lo guarda negli occhi, mentre lui racconta come si sono conosciuti: “Per conquistare una donna bisognava aspettare che facesse la passeggiata dopo le funzioni in chiesa: uscivano in 2-3 amiche; il giovanotto doveva andare dietro alla ragazza e bussava sulla spalla: “Permette signorina”. Se lei diceva di no andavi via, altrimenti potevi tornare”.

     

    “S’era alla Società Filarmonica di San Donato – continua Brunetto, ormai… inarrestabile – ed era con due amiche: erano dentro il bar e vedevo questa ragazza, per forza la dovevo “prendere” io. Avevano parecchi corteggiatori intorno: così salgo le scale del circolo, loro escono, io salto dalla finestra ed entro nel mezzo a loro. Era fatta!”.

     

    Il ricordo è fisso nella mente, nonostante siano passati 70 anni: “Le dissi “Permette signorina…”, lei non rifiutò. La seconda volta quasi quasi ci ripensava. Lei aveva 18 anni e io 20. Otto anni di fidanzamento e ci sposammo che avevamo 28 anni io e 26 anni lei. Lo dico sempre: sessant’anni di letto e otto anni di… traffico”.

     

    Entrare nella famiglia della futura sposa non era certo facile, era una sorta di esame. “Andai dai suoceri – ricorda Brunetto – Riccardo e Letizia (Marina aveva anche due fratelli e una sorella): mio suocero era un omone, mi tremavano un po’ le gambe, l’era una faccenda complicata. Ma la superai: tutte le domeniche l’accompagnavo a casa e qualche volta rimanevo da lei per mangiare. Dopo cena andavo spesso a trovarla”.

     

    Sorride Marina quando le chiediamo se capì subito che Brunetto era quello giusto: “Un pochino mi ci volle per capirlo – dice – Ma andando avanti l’ho capito: si cercava di stare insieme il più possibile, anche se si era controllati stretti stretti. La mia mamma era sempre alla finestra a vedere quel che si faceva”. “S’era controllati a vista” fa eco Brunetto.

     

    Poi la famiglia di Marina da San Donato in Poggio si trasferisce a San Pancrazio: ma Brunetto non molla, va sempre a trovarla a bordo della sua Guzzi 250. Infine il matrimonio, il 6 aprile del 1953 nella chiesa di San Pancrazio: l’abito bianco e poca festa. Erano anni duri, c’era da pensare a lavorare e poco a festeggiare.

     

    “Si tornò in casa dai suoceri – ricorda Marina – Con la mia suocera andavo d’accordo, anche se non era facile stare tutti insieme nella stessa casa. Da mangiare? Lo faceva lei, era la massaia, quella che comandava in casa”.

     

    “La vita allora era dura in tutte le case coloniche – fa eco Brunetto – nella nostra c’erano tre famiglie tutte insieme. S’aveva l’acqua lontano, il bucato si andava a farlo al viaio. Negli anni Settanta si cominciò a stare un po’ meglio”.

     

    Nel 1965 infatti arriva la prima casa da soli, a Pozzolatico, dove ancora oggi (dopo una parentesi di quattro anni a Strada in Chianti) vivono felici: Marina va a lavorare al Centro Don Gnocchi e Brunetto a fare l’autista (per 30 anni) alla Emilio Paoli in via della Vigna Nuova.

     

    “Trasportavo paglia e giunco – dice Brunetto, che ha amato molto quel lavoro – Ho girato tutta l’Italia. La mattina mi alzavo presto per prendere il caffè, prima di partire. Mi affacciavo alla finestra e guardavo il mio camion parcheggiato, caricato e pronto per partire. Gli dicevo: “Allora, dove si va oggi?””.

     

    La prima figlia, Antonella, è nata a San Donato in Poggio; le gemelle Susanna e Brunetta a Pozzolatico. “Quando nacquero non sapevo che erano due – ricorda Marina – l’ostetrica durante le visite diceva di no, ma a me sembrava che ce ne fosse un’altra: sono stata a lavorare nei campi fino all’ultimo giorno, ma duravo una gran fatica. Poi, arrivati al parto, s’è visto che… avevo ragione. Nacquero in casa, come si usava a quei tempi, il 13 luglio del 1960”.

     

    Oggi c’è da festeggiare: la famiglia è tutta unita, si respira nell’aria un grande affetto collettivo nei confronti di questi genitori (e nonni) davvero speciali. Ci sarà da fare una grande festa a questi due sposi che hanno percorso insieme un cammino lunghissimo.

     

    Li salutiamo. Brunetto è un fiume in piena: ha iniziato a parlarci di sviluppo, di sindacati, di politica, di quella volta che gli hanno tolto la tessera del Pci… . “Questi giovani – ci saluta così – se non si danno da fare per crearselo un lavoro, magari nei campi, non vanno da nessuna parte. Si devono rendere conto che lo Stato non ha più soldi per pagare. Quando s’era più giovani il pane si mangiava se uno se lo creava. Dovrebbero tornare a coltivare la terra. E puntare tanto sul turismo. Sono queste le nostre ricchezze”.

    di Matteo Pucci

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

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