IMPRUNETA – Continua il nostro viaggio tra i medici di famiglia del nostro territorio, che hanno fronteggiato e combattuto (e stanno fronteggiando tuttora) la pandemia da Covid-19 in prima linea.
Ci racconta come ha vissuto questo periodo così difficile Franco Gabriele, medico di famiglia dal 1983, che esercita ad Impruneta dal 1991.
“L’inizio della pandemia l’ho vissuto con preoccupazione, sia per gli alti numeri dei contagi, sia per l’impossibilità di reperire mezzi di protezione individuale. Io sono stato “fortunato” – racconta – perché avevo ancora dei dispositivi dai tempi dell’influenza suina. Poi sono stati i miei pazienti a fornirmi le mascherine. Mi chiamavano dicendo: dottore ho delle mascherine FFP2 gliele posso portare?”.
“Sono sicuro – ammette – come sicuramente è accaduto a molti colleghi, di aver visitato molti pazienti positivi pur non sapendolo, e senza protezioni adeguate. Poi, da quando invece sono iniziate ad arrivare le protezioni, eravamo piĂą tranquilli. In questi mesi noi medici siamo stati l’unico punto di riferimento dei nostri pazienti: c’era molta confusione, sia a livello burocratico che sanitario”.
“Poi però – spiega il dottor Gabriele – è arrivato un altro tipo di pandemia, meno tollerabile: ovvero normativa. Il linguaggio era spesso incomprensibile e contradditorio. Ci hanno mortificato e reso difficile la situazione, giĂ di per sĂ© molto complicata”.
“Dopo è arrivata la seconda ondata – ricorda – e anche questa volta il sistema si è fatto trovare impreparato, specialmente dal punto di vista dei tracciamenti”.
“I miei pazienti erano disperati – la mente va a quelle settimane – la gente era disperata. Siamo stati massacrati da telefonate e richieste, anche 50 o 60 al giorno, e la cosa peggiore era che non potevamo aiutarli perchĂ© non avevamo gli strumenti per farlo. Molti ospedali avevano iniziato a chiudere, quindi per qualsiasi patologia i pazienti chiamavano noi”.
“A ciò si aggiungono le normative insensate – rimarca – tempi infiniti di guarigione, mille tamponi prima di poter rientrare nella vita sociale. I pazienti si sfogavano con noi, chiedevano a noi, ma non avevamo le risposte. Gli uffici di igiene staccavano il telefono, molti medici chiudevano gli studi e non si facevano trovare, noi non l’abbiamo mai fatto. Ci siamo sempre stati”.
“Tengo a dire – rimarca – e credo di poterlo definire un “merito”, di non aver mai chiamato l’USCA (UnitĂ Speciali di continuitĂ Assistenziale, n.d.r.): sono sempre andato io dai miei pazienti, certo con tutte le misure del caso, ma non li ho mai lasciati nelle mani di sconosciuti.
Poi finalmente sono arrivati i vaccini”.
“Con i vaccini la situazione è migliorata. Nonostante ciò – sottolinea – anche in questo caso c’è stato un ritardo dalla dichiarazione pubblica dell’arrivo dei vaccini e i vaccini stessi. Anche in questo caso siamo stati sommersi di telefonate, sia per la disponibilitĂ degli stessi sia per la fattibilitĂ per ogni singolo paziente”.
“Personalmente – aggiunge – sono riuscito a convincere quasi tutti i miei pazienti a vaccinarsi, specialmente perchĂ©, esercitando da molti anni, ormai abbiamo un rapporto molto consolidato.
I miei ultra ottantenni sono tutti vaccinati tranne 2-3, gli ultra sessantenni per la maggior parte”.
E il green pass? “Per quanto riguarda il green pass, per fortuna ho ricevuto pochissime richieste di certificati senza motivo, e quando ho spiegato che non era possibile hanno capito”.
“Io sono favorevole al green pass – puntualizza – anche se sarei piĂą favorevole per l’obbligo vaccinale”.
“Ad ogni modo – conclude il dottor Gabriele – nonostante le difficoltĂ della pandemia stessa e della burocrazia, possiamo dirci fortunati: abbiamo avuto diversi contagi ma pochi malati. Non credo che sia finita, ma penso che il peggio sia passato. Varianti e attenzione… permettendo”.
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