SAN CASCIANO – Camilla Ciolli Mattioli, originaria di San Casciano, si è trasferita a Berlino per motivi di studio e poi a Rehovot, Israele. Nonostante l’emergenza in corso, continua a lavorare come ricercatrice scientifica.
“La mia routine è la stessa – inizia – però adesso siamo solo in due-tre a lavorare: ogni giorno ci misuriamo la febbre e, dopo aver dichiarato che siamo sani, riceviamo una certificazione che ci autorizza a entrare”.
“Molte facilities dell’istituto sono chiuse – spiega – quindi ti devi ingegnare. Per esempio io lavoro tanto al microscopio, che non è disponibile. Abbiamo chiesto di usare quello di un laboratorio amico, ma visto il limite al numero di persone che possono lavorare contemporaneamente, posso usarlo solo il weekend o la sera dopo le 19”.
Anche a Rehovot la mascherina è obbligatoria e chi non lavora deve stare a casa. Si può uscire solo per fare la spesa, in un’area di 100 metri dalla propria abitazione.
“Inoltre – aggiunge – hanno preso misure solitamente usate contro spionaggio e terrorismo, sul controllo dei cellulari. Mappano i movimenti della popolazione, per poter risalire a tutti i contatti avuti da chi si rivela affetto da Coronavirus”.
“La maggior parte della gente è a casa – racconta – ma non ci sono persone per strada, a parte quelli che portano fuori i cani”.
“La città è cambiata – prosegueCamilla – È deserta, anche se da qualche giorno ci sono molte più macchine. I mezzi pubblici funzionano, ma nessuno li prende. Il numero di passeggeri consentiti è limitato e chi va a lavoro si sposta con la propria auto”.
“Tantissime aziende – procede – hanno mandato in vacanza obbligatoria i dipendenti senza dar loro uno stipendio. Sono considerati come disoccupati e il tasso di disoccupazione, che prima era al 4%, è salito a 25%. Dovrebbero ricevere un compenso dallo stato pari al 70% del loro salario e avere un lavoro assicurato quando finisce la pandemia”.
“Io sono fortunata – ammette – perché sto continuando a percepire il mio stipendio. Inizialmente non avevo molta voglia di andare a lavorare in questa situazione. È positivo, perché mantieni una routine, ma non ero motivata”.
Da qualche giorno, però, nell’istituto hanno dedicato due laboratori ai test di screening sul Coronavirus, per alleggerire il lavoro degli ospedali: “Hanno richiesto la partecipazione di volontari – spiega ancora Camilla – e io ho deciso di aderire. Abbiamo tutto ciò che serve per eseguire i test. I turni dei volontari sono due al giorno e ognuno di noi ha un ruolo specifico che non cambia mai”.
“Inizialmente – confessa – qui in Israele hanno avuto un po’ di problemi con la comunità ortodossa che ha un suo capo a dare le direttive. Le regole del social distancing non sono state messe in pratica subito, quindi ci sono stati dei focolai di infezione. Tra l’altro il ministro della sanità è ortodosso e ha preso il Coronavirus”.
Nel tempo libero, Camilla si dedica all’orto, che al momento è la sua attività preferita: “Non siamo abituati all’isolamento – conclude – e la cosa che fa più strano è che non so quando potrò tornare a casa, né andare a Berlino a trovare gli amici”.
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