IMPRUNETA – La chiameremo Alison, con un nome di fantasia. Ha appena compiuto 40 anni. E dal Canada, il suo Paese, racconta al Gazzettino del Chianti quella notte.
La notte fra il 29 e il 30 luglio scorsi, quando in un ristorante nella piazza centrale di Impruneta si è consumata ai suoi danni una violenza sessuale di gruppo. Per la quale le indagini hanno, al momento, portato a prendere due misure cautelari.
Dei quattro uomini messi immediatamente sotto indagine infatti, per due (un 34enne e un 26enne) sono scattati (a inizio agosto) gli arresti domiciliari.
Quello di Alison è un racconto duro, sofferto, lucido e coraggioso. La sua verità su quelle ore terribili. Alcuni dettagli li risparmiamo: sono davvero durissimi e, comunque, le autorità sono ancora al lavoro e ci sarà un percorso giudiziario.
Alison ci chiede anche di metterla in contatto con chi organizzò la manifestazione in piazza Buondelmonti in suo sostegno, e a sostegno delle donne vittime di violenza, la sera dell’8 agosto. Un piccolo sprazzo di luce e solidarietà in una storia buia come la notte più scura.
Cosa ricorda di quella sera: ci racconti quello che si sente di raccontare.
“Ero arrivata a Impruneta la sera prima. Ho mangiato in quel ristorante all’arrivo, verso le 20, e dopo sono andata a casa (avevo preso un AirBnB dietro l’angolo, in via Paolieri). Il giorno seguente ho esplorato il paese, e sono tornata lì a cena. Ricordo tutto dell’intera giornata: i nomi di due irlandesi che ho conosciuto, un ragazzo del posto e il suo cane, un barista. Tutto. Ricordo tutto fino al ritorno a casa, verso mezzanotte. Ho attraversato la piazza e alcuni uomini seduti nel patio del ristorante mi hanno chiamata perché mi avevano riconosciuta, essendo stata lì a mangiare. Mi sono unita a loro per un drink. Hanno detto che il ristorante era chiuso, ma che si poteva bere con loro fuori orario. Dopo un po’ di tempo lì fuori mi è stato chiesto di entrare nel ristorante, in modo che nessuno pensasse che fossero aperti. Mi sono seduta dentro, a un tavolo vicino al bar/registratore di cassa. Ricordo che qualcuno chiuse a chiave la porta d’ingresso alla mia sinistra, e mi fu offerto un bicchiere di Chianti. Da lì ho perso immediatamente la memoria. Molte ore dopo, dopo essere scappata, ricordo alcuni momenti traumatici, ma per lo più è un vuoto completo delle intere cinque ore (circa) rinchiusa all’interno. Non descriverò in dettaglio i pochi brandelli di ricordi che ho, perché sono inquietanti ed è difficile parlarne”.
Era da sola in vacanza in Italia? Perché era venuta a Impruneta?
“Viaggiavo da sola in Europa. Ho terminato una relazione difficile in Canada all’inizio di luglio e ho deciso di andare in Europa. Ho iniziato in Germania, poi in Croazia, poi Roma. E poi Impruneta. Non avevo mai voluto visitare l’Italia, forse sono l’unica persona al mondo che non ha mai voluto visitare questo Paese. Ho scelto di visitare Roma per via del biglietto aereo economico dalla Croazia: e da Roma ho programmato di dirigermi a nord, fermandomi a Firenze. Ho trovato posto a Impruneta, e ho scelto di trascorrervi qualche giorno”.
Come è finita in quel locale e, poi, come ne è uscita? Cosa ricorda di quei momenti?
“Come ho detto ho cenato lì le mie prime due sere. Impruneta è una cittadina molto piccola e questo ristorante era uno dei pochi. E il più votato. Il cibo era molto buono, odio pure dirlo. Poche ore dopo aver mangiato lì per la seconda volta, sono stato chiamata dagli uomini che mi avevano riconosciuta. Ho pochissimi ricordi di quanto accaduto là dentro. Ricordo di essermi svegliata su un tavolo, sulla schiena, spaventata, rivolta verso il soffitto. Mezza nuda, piangendo e implorando di essere lasciata andare. Non avevo scarpe. Ricordo chiaramente di aver spalancato la porta a vetri sulla strada laterale e la sensazione di ciottoli caldi sotto i miei piedi nudi mentre correvo a casa, terrorizzata”.
Quando sono arrivati i carabinieri è stata adeguatamente aiutata? Che cosa è accaduto?
“I primi due carabinieri arrivati non parlavano un inglese perfetto, e io in quel momento ero sotto shock e facevo fatica a raccontare quello che avevo appena vissuto. Dopo circa un’ora ho deciso che non avrei lasciato che questi uomini “vincessero”: ho vagato per Impruneta ancora a piedi nudi, all’alba, cercando di convincere qualcuno ad ascoltarmi e aiutarmi. Nessuno parlava inglese (che è normale, capisco). Ho provato più volte a far entrare qualcuno nel ristorante per trovare le mie scarpe: almeno, pensavo, qualcuno mi avrebbe creduto se fosse riuscito a trovarle. Tutti pensavano che fossi solo una “donna americana ubriaca”. Solo una volta arrivato un paramedico, una donna, che mi ha fatta spogliare e ha visto le mie ferite, sono stata mandata all’ospedale. E successivamente dai carabinieri di Scandicci per il resto della giornata (forse 12 ore di fila tra esami ospedalieri e dichiarazioni). Uno dei giorni peggiori di tutta la mia vita. Tutti gli ufficiali che mi hanno aiutato durante le mie 8 ore circa alla Stazione sono stati fantastici, amichevoli, premurosi e investigativi. Mi dispiace solo un po’ di aver ricevuto quella risposta solo dopo che è diventato evidente che avevo gravi lesioni fisiche sul mio corpo”.
Si è messa in contatto con la sua ambasciata?
“Sì, ma solo dopo che sono tornata nel mio Paese. Nessuna autorità italiana mi ha mai detto di chiedere aiuto a un consolato/ambasciata. Non avevo idea che fosse un’opzione per me in quel momento”.
Quando è partita per il Canada e in che stato d’animo?
“Sono stata in grado di tornare finalmente in Canada due settimane dopo. Sono stata prosciugata di quasi 4.000 dollari canadesi per tornare a casa così rapidamente (tariffe aeree estive, soggiorni extra in ostelli e noleggi in Italia, cibo…). Volevo partire il giorno dopo, ma semplicemente non potevo permettermelo. Sono stata in una grave depressione dal 30 luglio fino a oggi. Tuttavia, ho imparato a rimanere forte e positiva, indipendentemente da ciò che sta accadendo intorno a me. Oggi, ad esempio, ho ricevuto una buona notizia (non correlata al caso) che mi ha dato un po’ di felicità per farmi andare avanti”.
Come ha vissuto queste settimane dopo quello che è successo? Come va la sua vita? Cosa è cambiato?
“Ho incubi ogni singola notte. Per adesso sono stata in grado di essere forte e resistere al dolore. Mi rifiuto di permettere a qualcun altro di usarlo contro di me. Ho momenti in cui esplodo improvvisamente in lacrime. Non voglio che nessuno mi tocchi. A volte mi ritrovo improvvisamente incapace di muovermi o parlare. O, semplicemente, resto seduta come un’idiota. È terribile e imbarazzante. Non sono nemmeno in grado di uscire con qualcuno, mi aspetto solo che mi attacchino e prendano tutta la mia vita, il mio orgoglio e il mio corpo. Ho appena compiuto 40 anni, ma sembro molto più giovane: dovrei godermi questo fatto, ma non è così purtroppo”.
Cosa chiede alla giustizia italiana?
“Solo questo: giustizia. Questi uomini mi hanno violentata. Ero priva di sensi, terrorizzata, forse addirittura drogata. Sapevano cosa stavano facendo, ma io ero l’unica persona lì che non lo sapeva. Cosa sarebbe successo se non fossi scappata? Sono stufa da morire di essere interrogata sul “perché ero sola” o “quanto ho bevuto”. Niente di tutto ciò ha importanza. Sono un’adulta che si comportava come un’adulta. Non ho mai, mai voluto quello che è successo. C’è un video: il mio corpo era paralizzato, privo di sensi, violentato ripetutamente. È tutto sui loro telefoni. Questo non è consenso! Non voglio soldi, anche se tutti i soldi che avevo, destinati a iniziare una nuova vita a casa, in Canada, dopo il mio viaggio, li ho dovuti utilizzare per riportarmi a casa il prima possibile. Voglio solo che vengano puniti, e che nessuna donna sperimenti mai più questo da loro. Voglio che le loro madri, sorelle, fidanzate, mogli, nonne, li guardino con disgusto. Voglio che si scusino con le loro donne. E con me”.
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