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mercoledì 10 Settembre 2025
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    I troppi debiti non sono sempre un dramma senza soluzione

    Il protrarsi della crisi economica più grave dal dopoguerra, sta producendo effetti negativi sul tessuto economico della società ormai da quasi un decennio.

     

    Gli effetti, come noto, riguardano in primo luogo le grandi e le medie imprese, ma si ripercuotono anche sulle piccole attività e sulle persone fisiche, spesso impossibilitate a causa degli eventi avversi della vita, a pagare regolarmente i propri debiti, sia con enti pubblici, che con soggetti privati.

     

    L'angoscia dovuta all'indebitamento, non di rado ha prodotto gravi conseguenze anche sulla vita delle persone, come ci insegna la cronaca, ma non sempre si tratta di un problema irrimediabile.

     

    I consumatori e le categorie imprenditoriali con minore rilevanza economica, sono state tradizionalmente escluse dalla disciplina del fallimento, con un iniziale intento di protezione.

     

    Tra le ragioni che avevano sempre escluso la possibilità di sottoporre a procedure concorsuali i debitori minori, oltre all'intento di evitare un eccessivo carico giudiziario, vi era l'idea che il fallimento costituisse una sorta di “marchio” infamante per l'imprenditore, e che un piccolo debitore non meritasse ignominia.

     

    Le cause dell'accumulo di debiti da parte dei soggetti minori, potevano infatti essere le più varie, e non essere sempre collegate ad incapacità imprenditoriale o alla volontà di sottrarre beni ai creditori e generare una bancarotta.

     

    Con le varie riforme del diritto fallimentare succedutesi negli anni 2000, ancora non stabilizzate ed in corso di ulteriore revisione, la prospettiva è cambiata.

     

    Ferma l'applicazione della procedura fallimentare ai soli imprenditori commerciali con maggiore rilevanza economica, il fallito non è stato più inquadrato come un soggetto degno di riprovazione, ma ne è stata prevista la possibilità di recupero e di reinserimento nel contesto economico-sociale.

     

    L'istituto più importante introdotto nel diritto fallimentare, è la cosiddetta “esdebitazione”, che può essere definita come la possibilità per il fallito, in caso di “buona condotta”,  di ottenere la cancellazione dei debiti individuali residui al momento della chiusura della procedura.

     

    Infatti mentre prima delle riforme, il fallito continuava ad essere soggetto al principio generale fissato dall'articolo 2740 c.c. che prevede la soggezione del debitore alle obbligazioni contratte “con tutti i suoi beni presenti e futuri”, adesso egli può esserne liberato ricorrendone le condizioni.

     

    Al contrario, rispondevano e tuttora rispondono, con tutti i loro beni presenti e futuri, i soggetti minori: i consumatori ed i soggetti che non possono fallire.

     

    Appare quindi evidente come la riforma del diritto fallimentare, unita alla persistente crisi economica, aveva portato all'effetto paradossale di consentire la liberazione dei debitori più grandi, ma di non consentirla a quelli minori.

     

    Per ovviare a questa evidente contraddizione e per consentire il reinserimento dei soggetti inadempienti nel contesto economico-sociale, la Legge 3/2012 ha introdotto nel nostro ordinamento una procedura concorsuale anche nei confronti del debitore persona fisica, sia esso consumatore o sia esso soggetto non sottoponibile a fallimento, cioè facente parte di quello che nel gergo giornalistico è definito “il popolo delle partite Iva”.

     

    La disciplina del procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento individuale è molto complessa e tecnica, e ad essa si può solo accennare.

     

    Rispetto alla disciplina fallimentare ordinaria, che può essere promossa dai creditori o anche dal pubblico ministero in ragione della dimensione dell'impresa, il procedimento può essere attivato solo dal debitore e non dai creditori, che conservano il loro diritto di azione individuale.  

     

    Per poter accedere alle procedure di composizione della crisi individuale, occorre distinguere tra “partite Iva” e consumatori.

     

    Coloro che esercitano attività economica o professionale, come già esposto, non devono poter essere essere assoggettati alle procedure fallimentare.

     

    Deve trattarsi pertanto, di persone che non svolgano attività d’impresa, ma di professionisti, artisti o altri lavoratori autonomi, di imprenditori commerciali non fallibili perchè con un basso volume d'affari (c.d. “sotto soglia”), di enti privati non commerciali come associazioni o altri soggetti ad esse assimilabili, di imprenditori agricoli, o di cosidette “start up innovative”, cioè società di capitali di proprietà di persone fisiche, non costituite da più di 60 mesi, che non abbiano distribuito utili.

     

    Il consumatore, invece, è definito, più semplicemente, come il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale.

     

    Alla qualifica soggettiva, si aggiunge quella oggettiva: la persona che può essere ammessa alla procedura, consumatore o partita iva, deve essere in stato di “sovraindebitamento”, cioè trovarsi ripetutamente o definitivamente nell'impossibilità di adempiere le proprie obbligazioni a causa di un   perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile.

     

    Il procedimento di composizione della crisi, si apre con il deposito di un ricorso davanti al tribunale fallimentare, ed ha caratteristiche diverse a seconda che a richiederlo sia una “partita Iva” o un consumatore.

     

    L'esercente un'attività economica, infatti, per poter accedere al beneficio, sottostà a limiti maggiori e più stringenti rispetto al consumatore. La sua richiesta, infatti, deve ottenere il consenso almeno parziale dei debitori e può concludersi con l'approvazione di un accordo che riduca fortemente gli importi dovuti, evitando future azioni, solo se dimostra di non essere immeritevole.

     

    Per il consumatore indebitato, invece, è prevista una disciplina più favorevole, poichè può  presentare il proprio piano di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti ed ottenerne l'approvazione da parte del giudice anche senza l'accordo con i creditori.

     

    In entrambe le procedure, infine, ove l'accordo non possa essere concluso, è possibile procedere alla cessione dei beni o dei crediti futuri del sovraindebitato, ed escludere comunque la soggezione a future azioni collegate alla richiesta presentata.

     

    In conclusione, anche se lo strumento è assai complesso ed anche se è sottoposto a limiti molto stringenti diretti ad evitare speculazioni da parte di debitori cronici in mala fede, il procedimento di composizione della crisi individuale può rappresentare, nell'attuale fragilissimo contesto sociale, un istituto cui rivolgere l'attenzione, non solo per finalità strettamente giuridiche o collegate a logiche meramente economiche.

     

    La consapevolezza infatti che non tutto è perduto e che una soluzione è possibile anche nelle situazioni economicamente più drammatiche, può e deve costituire ragione per pubblicizzare al massimo l'istituto e assistere i soggetti più deboli, spesso inconsapevoli.

     

    Ove infatti vi fosse questa consapevolezza, molti dei gesti estremi, purtroppo all'attenzione delle cronache quotidiane, potrebbero essere evitati.

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

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