BORGO DI DUDDA (GREVE IN CHIANTI) – Il Borgo di Dudda fino alla mattina di giovedì 20 maggio era uno dei tanti borghi chiantigiani immersi tra la campagna e i boschi.
Una volta erano piccoli villaggi composti di case di campagna, abitate da persone abituate al duro sacrificio del lavoro della terra.
Famiglie numerose, pronte a condividere lo scandire del tempo: la stalla accanto alla cucina, il forno per fare il pane lungo la strada, il fienile.
Poi, lo sappiamo, finisce la mezzadria, la campagna e le case si spopolano. Ma l’uomo con il tempo ha bisogno di ritrovare se stesso, ed ecco che i borghi si rianimano, le case vengono vendute, restaurate.
Così com’è stato per il Borgo di Dudda, dove due di queste case (sono venti i residenti in tutto) dovevano esaurire il desiderio del buon ritiro dopo anni di lavoro, essendo arrivati all’età della pensione, di Giuseppina e Fabio, entrambi di 59 anni.
Che la mattina del 20 maggio erano arrivati da Prato insieme a Giancarlo, 64 anni, andato con loro per arredare il quartiere posto al primo piano.
Mai potevano immaginare che lì, poco dopo le 8.30, avrebbero trovato un’orribile morte, causata dall’esplosione dei due appartamenti. Il loro e quello al primo piano, che a giorni avrebbe visto arrivare una giovane famiglia.
Per tutta la settimana i vigili del fuoco, carabinieri di Figline e Greve in Chianti, tecnici del Comune di Greve in Chianti, Enel Energia e Publiacqua, ognuno per la sua competenza, hanno lavorato su quelle macerie.
Con molta probabilità l’area sarà presto dissequestrata, perché le indagini per stabilire la causa dell’esplosione dei due appartamenti sembra siano terminate.
Quassù non arriva il metano, ognuno ha il suo serbatoio di gas GPL per le utenze domestiche.
“Gas che la signora Giuseppina non aveva voluto mettere nella nuova casa” ci racconta un signore che abita poco lontano.
“Era terrorizzata dal gas – ripete – tanto che aveva installato una cucina a induzione e, per riscaldarsi, mi aveva detto che avrebbero usato la stufa a pellet”.
Passare accanto a quelle macerie fa una certa impressione, in mezzo ai massi spuntano oggetti di vita quotidiana.
Una lavatrice schiacciata, pezzi di mobilia, coperte, scarpe, attaccapanni, un mulinello da pesca; mentre appeso alla parete del primo piano si nota ancora un televisore, rimasto inspiegabilmente intatto, così come una cassaforte a muro dove sono ancora infilate le chiavi.
“Che cosa vuole che le diciamo – ci racconta una signora – che siamo vivi per miracolo. Quella mattina io era in casa, sembrava fosse scosso un forte terremoto, un boato, una colonna di fumo, il fuoco…”.
Non nasconde l’emozione e non vogliamo disturbarla, sono ancora molto vivi i ricordi.
Camminando oltre incontriamo un uomo. Gli chiediamo come è cambiata la vita nel borgo: “Mah – risponde sincero – Vediamo se e come si tornerà alla normalità. Sono sempre un po’ sconvolto, tanto che ancora non ho ripreso il lavoro”.
Ha avuto dei danni causati dall’esplosione?
“Come si può vedere si sono rotti i vetri delle finestre, all’interno è entrata una quantità enorme di polvere, per fortuna chi vi abitava era uscito una mezz’ora prima”.
Lei era qui nel momento dell’esplosione?
“Sì, mi trovavo nel parcheggio”.
Conosceva le persone che hanno perso la vita?
“Di vista. Quando quella mattina sono arrivati ci siamo salutati e sono entrati in casa, dopo circa venti minuti è avvenuta l’esplosione”.
La sera precedente avevate percepito odore di gas?
“Sì, ma come spesso accade quando si esaurisce il GPL si sentono le esalazioni. Nei tanti pensieri che mi capitano in testa c’è anche questo senso di colpa, se così la possiamo definire. Potevamo avvisare tutti di fare un controllo, chiudere gli impianti. Chissà…”.

Facciamo il giro nel campo sottostante, dietro quello che rimane dei due appartamenti.
A una certa distanza troviamo pezzi di legno, forse di una finestra. Pietre scagliate come schegge di bomba, una persiana è incastrata tra i rami e il tronco di un albero, così come una finestra intera con i vetri spezzati.
Se qualcuno in quel momento si fosse trovate a lavorare nel campo sarebbe stato a sua volta coinvolto nell’esplosione.
In un angolo ci sono i mazzi di fiori portati in ricordo delle vittime. Sono stati infilati in bottiglie di plastica.
Quelle stesse bottiglie che sono servite per dissetarsi, bagnarsi i volti per liberarsi dalla polvere, nella ricerca affannosa e nella speranza di trovare persone in vita.
Speranza che, purtroppo, è stata vana.
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