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sabato 27 Aprile 2024
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    Essere cacciatori… nel 2018: una figura profondamente cambiata

    Oggi la caccia vive una profonda crisi: da un lato un calo demografico inarrestabile della comunità venatoria, dall’altro l’aumento del dissenso verso questa attività. Purtroppo il passato ha fortemente inciso su questa situazione.

     

    La figura che il cacciatore ha creato intorno a sè non aiuta. Non aiuta nemmeno la “lotta” interna fra le varie associazioni venatorie che dovrebbero invece collaborare nel tentare di creare una nuova comunità in grado di integrarsi nelle nuove dinamiche sociali e ambientali.

     

    Dunque cos’è richiesto al cacciatore di oggi?

     

    Come deve comportarsi affinchè la sua figura sia ancora accettata in una società in parte critica e in parte disinteressata alla salvaguardia dell’ambiente, come se ciò che esula dalle nostre abitudini e dai nostri interessi non ci riguardasse?

     

    È innanzitutto necessaria una premessa.

     

    Oggi troppo spesso, e non solo nel settore venatorio, si tende a screditare ferocemente senza conoscere la realtà dei fatti, in particolare i cacciatori vengono frequentemente attaccati dai loro “antagonisti” animalisti.

     

    L’emergente mentalità animalista non dovrebbe essere utilizzata come una clava, bensì sfruttata nel tentativo di collaborare fra le varie parti al fine di ottenere una pacifica e, soprattutto, utile collaborazione in termini di gestione territoriale!

     

    Dall’altra parte sarebbe necessaria anche un’evoluzione della comunità venatoria, in parte ancorata a vecchie concezioni ormai non più compatibili con gli ecosistemi odierni fortemente alterati dagli interventi antropici.

     

    Brevi ma eclatanti esempi sono quelli del cacciatore che cerca di ottenere il maggior numero possibile di prede o peggio ancora quello che spara a ogni stormir di fronde.

     

    Per questi motivi al cacciatore 2.0 sono richieste senz’altro due qualità: pazienza e alta formazione.

     

    La pazienza perchè il cacciatore viene sempre più spesso associato a una figura negativa, come un intruso nell’ambiente naturale, bersagliato da continui attacchi, talvolta illegittimi, senza un fondo di verità e generalmente derivati da una parte della società che ben poco conosce l’ambiente che la circonda.

     

    D’altro canto, però, risulta fondamentale che la comunità venatoria si faccia un profondo esame di coscienza e si chieda il perchè di tanta ostilità e diffidenza… quindi ognuno responsabilmente riconosca le proprie lacune e i propri limiti.

     

    L’alta formazione, è strettamente connessa alla pazienza. Questo perchè il cacciatore, in tempi “polemici” come questi, deve riuscire non solo a dimostrare la sua preparazione tecnica e pratica, bensì, la profonda coscienza (ed etica) con cui affronta la caccia e, soprattutto, far comprendere alla comunità il ruolo che svolge e la passione che lo trasporta nel praticare un’attività così atavica.

     

    La caccia, appunto così antica, è un qualcosa che nel tempo si è evoluto ed è diventata “trasversale”, continuando sempre ad essere praticata da persone diverse sia per classe sociale che per formazione culturale, ma oggi è necessario che tutti i cacciatori cambino, proprio per continuare in questa loro attività!

     

    La difficoltà nel farsi accettare da parte del cacciatore sta anche nel fatto che, oggettivamente, ad oggi non si pratica certo la caccia per esigenze puramente alimentari, ma più “semplicemente” per soddisfare una passione tanto profonda quanto impegnativa.

     

    È altrettanto importante far capire che, con un’idonea preparazione, il cacciatore può ricoprire un ruolo importante di equilibrio tra fauna e ambiente, in particolar modo quando si parla di controllo della fauna problematica (basti pensare ai danni causati dagli ungulati nel Chianti).

     

    Inoltre, potrebbe più efficacemente e frequentemente rappresentare un ruolo di fondamentale importanza, quello del monitoraggio e vigilanza ambientale con l’intento di trasmettere alla società l’immagine del cacciatore che non solo esercita l’attività venatoria in modo sostenibile e nel rigoroso rispetto della legge, ma che tutela anche l’ambiente.

     

    Per riuscire in questo scopo, però, sarebbe opportuno iniziare dalla formazione delle nuove generazioni di cacciatori per cambiare una vecchia mentalità e un restio atteggiamento, ormai incompatibili con la figura stessa del “cacciatore del XXI secolo”.

     

    È necessario anche un cambiamento dal punto di vista legislativo e gestionale dell’attività venatoria.

     

    Stato e Regioni devono incentivare questa attività, importate anche dal punto di vista economico. Se da un lato bisogna riportare a un incremento della “popolazione” di cacciatori, dall’altro è necessario che, anche tramite gli aspetti legislativi, la caccia venga praticata, in modo più facile e ottimale, con passione e, soprattutto, con rigorosa gestione del territorio. Infine è necessario che le associazioni venatorie prendano un netto distacco dai bracconieri, una delle peggiori piaghe per la figura del cacciatore e della caccia.

     

    Troppo spesso, infatti, il cacciatore è associato a quella del bracconiere: da un lato per ignoranza, dall’altro perchè i cacciatori stessi non riescono a prendere le adeguate distanze da quest’ultimi, per esempio non denunciano le loro azioni illegali.

     

    Auspicabile sarebbe anche una maggior severità e applicabilità delle leggi contro chi commette atti di bracconaggio e una minor omertà nella comunità venatoria poichè i primi a denunciare azioni del genere devono essere proprio i cacciatori.

     

    In conclusione il pensiero, di un vero cacciatore, Indro Montanelli, che rispondeva così a chi, nel 1997, gli chiedeva una sua opinione riguardo la caccia.

     

    “Sono cresciuto in collina, tra i boschi di due grandi paduli, quello di Fucecchio e di Bientina, dove avevo varie cacce a disposizione. Non la pernice, e neanche la starna, ma c’erano gli acquatici, il beccaccino, e il trofeo più ambito la beccaccia; il mio giudizio è di parte, e la parte è quella dei cacciatori, perchè lo sono stato anche io, con passione. E se potessi lo sarei ancora.

     

    Se la caccia fosse quella dei killer che nelle riserve massacrano in una mattinata, magari seduti su una sedia portatile, sette o ottocento fagiani di allevamento; o quella dei fanatici dello sparo che sparano a tutto, anche alle rondini e ai pettirossi, anch’io sarei per la sua soppressione.

     

    Ma la caccia del vero cacciatore è tutta un’altra cosa. La caccia, quella vera, sono i balzi di gioia del tuo cane, quando ti vede staccare, prima dell’alba, il fucile dalla parete, e l’immersione nel bosco, o fra le giuncaie del padule nel momento del loro risveglio con tutti quei fruscii misteriosi e chioccolii degli uccelli che si chiamano fra loro, e le serpentine trepidanti del cane sul primo fiato di selvaggina, tra i rovi del sottobosco…

     

    Il vero cacciatore ama gli animali a cui dà la caccia, forse anche perchè li considera complici di questo gioco in cui ritrova la sua origine esistenziale…

     

    No, i nemici della caccia il vero cacciatore non lo conoscono, e quando parlano di caccia, il vero cacciatore non capisce le loro parole; e se le capisce, li compatisce. Li considera gente cui è mancato, nella vita, uno dei godimenti più poetici, puri, esaltanti che la vita può ancora riservare”.

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

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