Come già accennato nel primo capitolo fra le specie più rappresentative dei Monti del Chianti sono da annoverare gli ungulati, come cervo, capriolo e cinghiale e, in minor misura, anche il daino.
In realtà la loro presenza, se elevata, può costituire un problema per altre specie più “vulnerabili” dal punto di vista ecologico, come per esempio gli anfibi e i fasianidi.
IL CERVO
Il cervo è la specie che più di altre rappresenta il tipico Ungulato delle nostre montagne. Predilige infatti ambienti tipicamente forestali ad alto fusto, mai troppo fitti, e una costante umidità durante tutto l’anno.
La sua eccessiva presenza però può costituire un problema per le attività antropiche legate alla silvicoltura.
Il cervo, infatti, è anche conosciuto come “l’ingegnere dei boschi” proprio per la sua capacità di modificare il soprassuolo forestale con la sua azione di brucatura, per esempio delle ceppaie degli alberi tagliati.
Inoltre, la sua eccessiva densità può comportare una competizione spaziale e, in parte, trofica con il capriolo, la cui popolazione può limitarsi/diminuire nella zona di sovrapposizione.
IL DAINO
Sul Monte San Michele è inoltre presente il daino, un ungulato definito parautoctona. La sua presenza ormai è centenaria nel nostro territorio pertanto non può essere considerato una vera e propria specie estranea ai nostri ecosistemi, ma bensì naturalizzata e bene diffusa.
La sua adattabilità gli permette di colonizzare anche territori d’altura nonostante prediliga aree con un clima più caldo e secco.
IL CAPRIOLO
Il capriolo, specie adattabile e ampiamente diffusa nel territorio del Chianti, è in realtà meno presente in questa zona, in particolar modo nel periodo invernale. Oltre che per la presenza del cervo, altre variabili che possono limitare la diffusione del piccolo Ungulato in queste aree sono: i fattori climatici in inverno e la continua perdita di aree aperte (in particolar modo delle aree ecotonali).
Conseguentemente il capriolo si tende a spostare in aree più aperte, a minor quota, e soprattutto in zone che offrono ricche risorse trofiche, cosa che inevitabilmente può causare contrasti con le attività umane.
IL CINGHIALE
Ampiamente diffuso è il cinghiale, animale emblema dei nostri territori. La sua presenza in contesti forestali e “montani” come quello del San Michele può essere limitata dal lupo.
Nonostante ciò, la specie cinghiale risulta abbondamene diffusa e, anche in questo caso, si può assistere a squilibri ecologici.
Questo suide, infatti, è un ghiotto mangiatore omnivoro: tramite la sua azione di grufolamento durante la ricerca di tuberi, insetti, vermi e lumache, scalza il suolo danneggiando semenzali e radici di molte specie arboree.
Non disdegna nidiacei, leprotti, roditori e anfibi. È quindi ovvio che una eccessiva e costante presenza di questo Ungulato causi problemi di stabilità del suolo (soprattutto in presenza di elevate pendenze), rinnovazione forestale e perdita di biodiversità.
LA GESTIONE FAUNISTICO-VENATORIA
Se da un lato la presenza degli ungulati deve essere mantenuta per permettere un equilibrio ecologico e favorire la presenza di specie carnivore, quali il lupo, dall’altro è fondamentale mantenere densità sostenibili in primo luogo per la capacità portante dell’ecosistema dei Monti del Chianti, in secondo luogo per la sostenibilità delle attività umane, con particolare riferimento alla selvicoltura e alla viticoltura.
Di notevole importanza per questa problematica è sicuramente la gestione faunistico-venatoria che da sola, però, non può risolvere il problema soprattutto nel breve-medio periodo.
A tale attività è fondamentale accostare una gestione territoriale costruita sulle esigenze delle specie problematiche prese in esame: creare infatti habitat idonei in contesti come quello dei Monti del Chianti, naturali e poco antropizzati, significherebbe mitigare la presenza degli ungulati in zone a maggior densità antropica, come per esempio le zone a valle, ricche di attività agricole.
La perdita di habitat idonei alle specie animali infatti porta necessariamente a un loro spostamento verso zone vicine con abbondanti risorse trofiche.
IL… LAMA!
Ma ancora manca un ungulato nella lista, un animale che dà un “tocco esotico” alla natura dei monti chiantigiani, il lama, un camelide originario del Sud America.
Da anni, ormai, la zona è frequentata da piccoli gruppi di lama fuggiti dal non troppo distante parco di Cavriglia.
Gli animali, oltrechè frequentare le zone boscose, alle quali sembrano essersi ben acclimatati, frequentano anche strade e piccoli centri urbani.
Per quanto belli e simpatici in realtà questi ungulati possono creare problematiche a livello gestionale, considerando che rappresentano una specie alloctona per i nostri ecosistemi.
Che impatto potrebbero avere sull’ambiente che li ospita?
Sono già stati segnalati danni, seppur di bassa entità, a colture e giardini. I danni potrebbero aumentare all’incrementarsi della popolazione o potrebbero aumentare localmente a causa di determinati comportamenti che i singoli nuclei possono adottare, come stabilizzarsi in zone limitrofe a produzioni agricole.
Si stanno riproducendo?
Sì, o almeno sembrerebbe, tantochè sono stati avvistati dei giovani esemplari all’interno di più nuclei.
Essendo più confidenti con l’uomo, data la provenienza da un parco, possono costituire un pericolo?
Potrebbero, per esempio, addentrarsi in centri urbani o sulle strade, fatti già accaduti, rischiando di causare incidenti.
Nel caso di un aumento di popolazione che impatto potrebbero avere sulle colture agricole della zona?
Data l’attuale situazione di difficile convivenza tra uomo e danni da fauna, sarebbe auspicabile prevenire adesso anzichè attendere l’insorgere di una nuova specie problematica.
In sostanza la vera domanda è: il lama può diventare una specie problematica?
Considerando che questi animali non hanno predatori naturali nella zona di diffusione, potrebbe comunque diveltarlo il lupo per i giovani esemplari, la situazione è da monitorare soprattutto nel caso in cui i piccoli nuclei iniziassero a riprodursi con velocità. Il lama è un animale adattabile dal punto di vista alimentare, essendo naturalmente selezionato a vivere in contesti ben più estremi del Chianti, soprattutto dal punto di vista climatico.
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