Pomeriggio di gennaio, sono in giro per lavoro. Mi fermo a fare merenda (che è un termine che mi piace parecchio) in un bar che conosco.
In vetrina ammicca una Pesca bella piena di Alkermes. Non resisto quando vedo il rosso dell'Alkermes: quella e un caffè macchiato, la felicità.
Mentre chiacchiero, nella sala accanto tintinna il suono delle slot e dei videopoker. Purtroppo ormai ci abbiamo fatto l'abitudine, è una sorta di rumore di sfondo che ormai va di pari passo alla macchina del caffè o al tintinnio del carico della lavastoviglie.
Alzo lo sguardo e sopra la postazione scommesse vedo una sorta di partita di playstation: due squadre, che hanno gli stessi colori ma non i nomi ufficiali delle squadre di calcio di serie A (questioni di diritti e di quattrini penso) che si sfidano.
Ingenuamente mi guardo intorno per vedere se è una sorta di monitor che rimanda la partita giocata da qualche ragazzino su un videogioco nel locale. Non è così.
Intanto la partita finisce. Entra un uomo, e scommette 50 euro su quella successiva: ebbene sì, oggi si può scommettere anche sul calcio virtuale. Su partite giocate dal computer, pochi minuti, da seguire con l'occhio offuscato dalla scommessa.
Io non amo le scommesse. Ne ho fatta qualcuna da ragazzino e poco più. Ma così non c'è più nemmeno il pathos di scommettere su una partita vera (a parte quelle… truccate dal calcio scommesse si intende), aspettare il fischio d'inizio, lo svolgimento, la fine… .
Tutto in pochi minuti. Virtuale, ottundente. Un colpo mortale in più a un fenomeno che tritura soldi e famiglie.
Esco, salgo in auto. La pesca e il caffè macchiato hanno un sapore diverso. Più amaro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA