Ho aspettato tante ore prima di scrivere qualcosa sul terremoto che alle 3.36 di mercoledì 24 agosto ha cancellato quattro paesi nel Centro Italia (e piccole altre frazioni e gruppi di case sparse): Amatrice, Accumoli, Pescara del Tronto e Arquata del Tronto.
Il Gazzettino del Chianti ha dato risalto (con grande orgoglio territoriale) ai "nostri" ragazzi che con le associazioni di Protezione Civile sono già sul campo, a fare quello che il cuore, la testa e le mani gli fanno fare da tempo. Aiutare. In mezzo al terremoto, alle alluvioni, alle emergenze: sono la nostra roccia, un punto di riferimento sicuro.
Sono il nostro orgoglio, a loro va il mio grazie. Lo dico con il cuore. Essere rappresentati da persone del genere è un onore e un privilegio.
Il giornale ha dato, sta dando il massimo risalto possibile a tutte le iniziative di solidarietà che si stanno sviluppando a livello locale: in particolare le raccolte fondi, poichè come segnala la stessa Protezione Civile, per adesso non serve (anzi sarebbe addirittura dannosa) nessuna raccolta e invio di indumenti e generi alimentari.
Il territorio chiantigiano sta rispondendo come ci aspettavamo: con empatia, senso della comunità, partecipazione. Gente in gamba che aiuta gente in gamba che ha perso tutto.
Ho visto, letto molto. Guardo mia figlia e distolgo lo sguardo. Penso a quello che ho visto, che ho letto. A quei bambini che per miracolo ce l'hanno fatta. A quelli che purtroppo hanno sentito la scossa, tremenda. Poi il buio.
Penso alla grande solidarietà che sa dimostrare il nostro Paese, a volte anche un po' troppo "autonoma" e sgangherata. A quelle raccolte di cibo e indumenti partite di gran carriera mentre la Protezione Civile dice che, per adesso, non servono. Serviranno forse. E il cuore di tutti saprà battere come in queste prime ore. Ne sono sicuro.
Provo dolore. Tanto. Penso alla notte di quel dicembre del 2014. A quelle scosse che per giorni hanno turbato anche il nostro Chianti, un'inezia rispetto a queste. Alla paura, alla famiglia da mettere al primo posto, al giornale da aggiornare per dare informazioni a tutti.
Penso all'ululato sordo del terremoto. A come ci renda impotenti. Piccini. Indifesi. Penso a tante cose, mentre scorro anche i social network.
E qui mi sale una rabbia sorda. Come sempre questo strumento è schizofrenico: può essere (ed è) prezioso; può essere (ed è) schifoso. E la colpa (o il merito) non sono certo dello strumento in sè, ma di chi (e come) lo usa.
Leggo post da rabbrividire. Provo vergogna per chi strumentalizza, butta fuori bile, rabbia, razzismo, becero qualunquismo. Sono la cartina di tornasole di un'Italia a due marce: c'è chi ha tutte quelle giuste e sa inserirle, e chi invece solo la retromarcia e, dietro, un muro su cui andare a sbattere.
Penso a quei paesi della campagna fra Lazio, Umbria e Marche: sono zone di un'Italia che conosco bene, che ho visitato in lungo e in largo. Paesi adagiati su quella spina dorsale elettrica rappresentata dagli Appennini.
Penso che c'è tanto di buono anche in questa disperazione. Penso che in questi momenti bisogna avere fiducia nelle istituzioni: è un dovere civico, è una forma di rispetto per chi scava, lavora, prepara un piatto di pasta, tira su una tendopoli.
Fermate le dita sulle tastiere dei vostri smartphone. Pensate. Siate civili. Siate umani.
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