Negli ultimi mesi si è tornato a parlare di aborto, IVG e 194 in seguito alla decisione della giunta regionale dell’Umbria che ha stabilito l’obbligo di ricovero per tre giorni per le donne che intendevano sottoposti a una interruzione farmacologica di gravidanza.
Le proteste scaturite a seguito del provvedimento hanno portato il Consiglio Superiore di Sanità a rivedere le linee guida della legge che tutela e disciplina l’aborto volontario.
Sull’argomento ne abbiamo sentite di tutti i colori e, tra polemiche, dibattiti, corsi e ricorsi, si è alzato un polverone mediatico e politico che ha generato non poca confusione sul nuovo iter per l’attuazione della IVG.
Insomma, a questo punto è necessario fare un po’ di chiarezza sulla situazione dell’aborto in Italia per conoscere i punti più importanti della riforma. Cominciamo subito.
Il percorso per interrompere una gravidanza
Nel nostro Paese esistono numerosi consultori e associazioni che accolgono le donne che intendono interrompere volontariamente la gravidanza, fornendo loro un adeguato supporto medico, psicologico e legale.
Ma qual è l’iter per l’interruzione volontaria della gravidanza? A tal proposito, bisogna distinguere tre casi fondamentali: l’aborto entro novanta giorni di gestazione per le donne maggiorenni e le ragazze minorenni accompagnate da entrambi i genitori o da un tutore, l’aborto entro novanta giorni di gestazione per minori non accompagnate e l’aborto oltre i novanta giorni di gravidanza.
Nel primo caso, il ginecologo a cui viene inoltrata la richiesta di aborto, dopo aver raccolto l’anamnesi della paziente, esegue un’ecografia pelvica per valutare l’età gestazionale e redigere un certificato medico necessario per procedere in un ospedale o in altra struttura sanitaria convenzionata.
Dalla data del certificato dovranno trascorrere sette giorni per legge durante i quali la donna sarà invitata a riflettere sulla propria scelta e, se non ci sono ripensamenti, si potrà procedere con l’intervento.
Per quanto riguarda le minorenni, ovviamente, dovranno avvalersi della figura dei genitori o di un tutore per esprimere la loro volontà di interrompere una gravidanza “indesiderata” e, laddove ciò non fosse possibile, interviene un giudice tutelare che valuterà le istanze presentate caso per caso.
Per l’attuazione della IVG dopo i novanta giorni di gestazione, oltre al consenso dei genitori quando l’interruzione riguarda una giovane di minore età, si richiede un pericolo di vita imminente per la madre oppure la presenza di una patologia grave o una malformazione a carico del feto.
Metodi di interruzione volontaria di gravidanza
L’interruzione volontaria di gravidanza può essere eseguita sia con intervento chirurgico sia con metodo farmacologico.
Quest’ultimo consiste in una procedura medica, suddivisa in due fasi, che prevede la somministrazione (in regime di day hospital) di due principi attivi diversi a distanza di 48 ore l’uno dall’altro: il mifepristone (meglio conosciuto come RU486), che inibisce la produzione del progesterone – ormone necessario per il mantenimento della gravidanza – al fine di provocare la cessazione della vitalità dell’embrione, e la prostaglandina che ne favorisce il distacco e l’espulsione.
La IVG mediante metodo chirurgico consiste, invece, in un intervento effettuato in anestesia generale o locale presso strutture ospedaliere pubbliche o private autorizzate dalle Regioni, che prevede la suzione dell’embrione dalla cavità uterina attraverso uno speciale macchinario.
In entrambe le modalità abortive si raccomanda una visita di controllo ginecologica dopo 10-14 giorni dall’interruzione per valutare lo stato di salute della paziente e l’effettivo esito positivo dell’aborto.
Cos’è cambiato con le nuove linee guida della legge 194?
Partiamo dal principio: il 10 dicembre del 2009, dopo anni di dibattiti e lotte femministe per i diritti delle donne, la pillola abortiva RU486 è entrata ufficialmente nella lista dei farmaci utilizzabili in Italia per dare alle donne italiane (come in quasi tutti i paesi europei) la possibilità di scegliere l’aborto farmacologico in alternativa a quello chirurgico.
Sebbene l’Umbria, con un piccolo e forte impegno, sia stata una delle prime autorità locali ad approvare questo nuovo metodo abortivo in regime di day hospital, l’11 giugno del 2020 si è assistito a un radicale cambio di rotta che ha scatenato non poche polemiche: su proposta dell’assessore alla Sanità Luca Coletto, l’esecutivo guidato da Donatella Tesei ha modificato la precedente delibera sancendo l’obbligo del ricovero ospedaliero di tre giorni.
A seguito delle numerose proteste e manifestazioni, il Ministro della Salute Speranza in collaborazione con il Consiglio Superiore di Sanità ha dunque aggiornato le norme facendo cadere sia il limite più restrittivo delle sette settimane di gravidanza sia l’obbligo di ricovero per tutta la durata dell’iter di assunzione dei farmaci abortivi.
Questi ultimi, quindi, potranno essere somministrati alla paziente entro i novanta giorni di età gestazionale e la donna che li assume potrà tornare a casa dopo mezz’ora dalla somministrazione, a patto che non si verifichino controindicazioni o effetti collaterali da tenere sotto osservazione per più tempo.
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