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domenica 11 Maggio 2025
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    Ruffino: una storia fra il Chianti Classico e… un fiasco

    A raccontarci la lunga storia, il presente e il futuro della Ruffino, perla enologica della Toscana, è il responsabile comunicazione Francesco Sorelli, nella splendida sede sopra a Grassina, nella Tenuta di Poggio Casciano.

    “Nel 1877 – inizia Sorelli – nacque l’idea di fare conoscere le delizie enologiche del territorio del Chianti a un pubblico più ampio rispetto a quello toscano. Insomma, l’idea di trasformare il vino in opportunità commerciale”.

    “Ruffino – ricorda Sorelli – fin dai primi anni si configura come azienda moderna, con sede a Pontassieve dove c’erano una vetreria, fabbriche per la paglia dei fiaschi, la ferrovia: insomma, la filiera completa”.

    Un vino che va a sfidare faccia a faccia i celebratissimi francesi: “Medaglia d’oro a Bordeaux per la qualità nel 1890; il Duca d’Aosta si innamora di una selezione di Chianti stravecchi della casa e darà vita alla fortunata storia della Riserva Ducale. Si arriva prestissimo agli Usa, tanto che si dice che siamo stati il primo vino italiano ed europeo importato negli Stati Uniti d’America”.

    Il marketing è ancora una parola sconosciuta, ma certe cose sono importanti ieri come oggi: “Era il vino amato anche dalle celebrità, particolarmente in auge negli anni della Dolce Vita”.

    Con la seconda guerra mondiale la Ruffino a Pontassieve viene pesantemente bombardata, perchè equivocata con la stazione ferroviaria.

    “Fin da subito però – ricorda Sorelli – viene dato un forte impulso alla ricostruzione, vengono realizzati stabilimenti nuovi nello stesso posto. La ricostruzione di tutta la Valdisieve, fino al Casentino, fu trascinata dall’economia della filiera del fiasco, uno dei pochi settori che permetteva di mangiare dal ’45 al ’47”.

    Un vero e proprio cuore pulsante di tutto il territorio: “Tutto il vino delle colline veniva infiascato; c’erano la paglia, le fiascaie, la vetreria che soffiava i vetri. E il treno che lo portava via. E’ chiaro che anche le bordolesi c’erano di già, visto che con la Riserva Ducale si era iniziato un percorso di qualità. Tanto che oggi possiamo bere delle Riserve Ducali Oro del ’50”.

    La storia va avanti: “Vengono avviati i primi approcci di viticoltura moderna – racconta Sorelli – attraverso l’acquisizione di Tenimenti: il primo fu Poggio Casciano, poi Montemasso. Gli anni  ’70 furono un periodo particolare, in cui¨Ruffino teneva duro. Vendeva soprattutto negli Usa e cercava l’opportunità per un percorso di crescita qualitativa attraverso le Tenute”.

    “Nel 1984 – prosegue – il Chianti assume la Docg, Ruffino ha una fascetta storica AAA0000001, la prima in assoluto. Abbiamo le foto di questa fascetta che per noi è uno strumento di marketing fortissimo: come la lettera di Verdi o quella della Casa Reale. Siamo stati fornitori del Vaticano, facevamo il vino per il Papa negli anni ’50”.

    Una storia di successo sublimata con l’acquisto di Gretole e Santedame. Poi una Tenuta anche a Montalcino (Greppone Mazzi); una nelle Colline Senesi, Solatia. “Oggi – ricorda Sorelli – parliamo di un’azienda da 60milioni di euro e 16 milioni e mezzo di bottiglie”.

    In Chianti Classico? Ci sono Gretole, Santedame (Chianti Classico e Romitorio) e Montemasso: assieme concorrono alle uve per Riserva Ducale e Riserva Ducale Oro.

    “Abbiamo sempre sofferto – ammette Sorelli – la visione dell’italiano su Ruffino, con il fiasco e il rosatello: vini deliziosi e a prezzo accessibile, considerati molto “every day”. Quando si doveva fare il vino a 70 euro c’era questa “polvere” nel marchio, una cosa che ci ha un po’ frenato. Negli ultimi anni però abbiamo trasformato questa debolezza… in forza”.

    Il cuore di tutto, al di là delle punte di eccellenza del Chianti Classico, è sempre il fiasco: “Il nostro è sempre stato il vino del territorio: oggi abbiamo rilanciato un fiasco moderno che sta andando benissimo. E’ il nostro orgoglio, il prodotto della convivialità, amatissimo dalla gente comune ma anche dai vip. Era un simbolo che univa tutti, un segno di italianità forte e sana anche all’estero”.

    “Da anni – ricorda Sorelli – pensavamo di riproporre questo prodotto. Pensiamo che il vino sia in una fase di profondo mutamento, è venuto meno il lato di status symbol ed edonismo, questo prodotto ha una forza intrinseca, si racconta da solo. Associare una debolezza, il fiasco da trattoria, all’azienda che a suo tempo ha “inventato” il fiasco, unendolo al Chianti. Oggi abbiamo provato a riproporlo: non è nostalgico, è un fiasco che a livello enologico dà un buon prodotto (Ruffino-Chianti), optando per la menzione superiore”.

    L’impagliatura è stata rispettata, la forma è morbida: “Abbiamo studiato i modelli di fiasco del ‘400 e abbiamo osservato che l’impagliatura è abbracciata al fusto. Non abbiamo utilizzato paglia ma carta riciclata, rivolgendoci allo stesso fornitore che negli anni Cinquanta e Sessanta ci dava la paglia. E che si è convertito… dalla paglia alla carta riciclata. Il fiasco viene fatto alla Vetreria Etrusca con una forma depositata, di nostra proprietà. L’etichetta altro non fa che portare il nostro marchio. Ha un costo accettabile, ha ristorante 16-18 euro, ed è un litro”.

    E’ stato lanciato nell’inverno fra il 2012 e il 2013, con 30mila bottiglie in Italia, nei mercati difficilissimi della Germania, nell’area scandinava e in Francia. “E siamo stra-contenti – dice Sorelli – di poter dire che il vino è andato benissimo. In Italia ha raccolto tre volte il budget, in Germania due volte. E’ un segno iconografico dell’italiano. Adesso verrà distribuito in tutta Europa…”.

    “L’abbiamo recuperato e migliorato – conclude – si poteva fare un lavoro d’antan, una via antica riproponendo il passato. Noi abbiamo scelto una via di mezzo, che abbiamo chiamato contemporary. E’ una storia italiana”.

    Matteo Pucci

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

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