Leggera e informale, allo stesso tempo circostanziata e auspicabilmente incisiva nel restituire il tessuto antropologico e sociale delle nostre comunità attraverso le storie della gente che le vivono e le animano.
Una rubrica senza obiettivi di scoop, approcci da inchiesta giornalistica o format da intervista, per proporre ritratti scritti, non necessariamente concordati e autorizzati, dei percorsi umani, più o meno unici e originali, che creano o hanno generato attività, iniziative, movimenti di idee, cose e persone “nel piccolo” dei quattro comuni del Chianti senese (Castellina, Gaiole, Radda in Chianti, Castelnuovo Berardenga).
Quei luoghi che, per le proprie caratteristiche demografiche e in termini di sviluppo industriale e infrastrutturale, in particolare per quanto riguarda Castellina, Gaiole e Radda, esprimono al meglio il concetto di “paradiso limitrofo” coniato dall'amico compianto Alessandro Falassi (“Chianti. Paradiso limitrofo”, Betti editrice) come “rifugio appartato ma accessibile” in cui la “gente è ancora assorbita da un vivere operoso e vigoroso, dove le persone, le cose e i rapporti umani trovano il modo di andare al loro posto, nel tempo […] dove non si sente l'oppressione del passato ma non c'è ancora l'angoscia del futuro […] dove ogni novità, come ogni immigrato, ha avuto il modo di venir adattata alla tradizione: il nuovo al vecchio, il futuro al passato”.
Un quadro che, nonostante le inevitabili trasformazioni accentuate progressivamente dal fenomeno del Chiantishire e dal più generale contatto con le opportunità e i rischi della globalizzazione, pare rappresentare ancora le dinamiche reali e la percezione, in primis di chi ci vive, del tenore della qualità della vita nei centri storici, nelle frazioni e nelle campagne aperte di Castellina, Gaiole, Radda e Castelnuovo Berardenga.
I tre terzieri della “Lega del Chianti” fiorentina, omaggiati dalla raffigurazione vasariana nel Salone dei Cinquecento, e il territorio dove, ancora oggi, viene invece celebrato “il cippo di Montaperti”; dove da un lato, per ricordare ancora Falassi, si mostrano le costruzioni robuste e squadrate in pietra serena sul modello del Brunelleschi o di Giuliano da Sangallo, e, dall'altro, quello di Baldassarre Peruzzi, con i mattoni rosati o dorati e una creta più duttile e dolce.
Tratti architettonici a memoria monumentale delle vicende storiche e del ruolo di questa terra di confine nella secolare contesa tra i suoi due poli, Firenze e Siena, come ci ricorda il mito narrativo più emblematico per tutto il Chianti, la leggenda del Gallo Nero.
Essendo questo il numero zero e avendo comunque a che fare con una cosa cara, preziosa e, quindi, delicata come il Chianti, pur senza addentrarsi in temi che meriterebbero volumi e volumi di spazio per essere adeguatamente dibattuti, sento necessaria una “metapremessa” sulla sua stessa definizione come territorio, prima ancora che come termine.
“Metapremessa” come mia matura convinzione: che il Chianti individuato negli otto Comuni del Patto di Pontignano deve essere sempre più percepito e valorizzato nella sua univocità, sia dalle proprie collettività sia in termini di politiche territoriali, di comunicazione e promozione turistica.
Per questo, parlare di “Gente dì Chianti senese” non risponde assolutamente alla volontà di distinguerla da quella “dì Chianti fiorentino”; si tratta solo di una scelta di natura logistica e redazionale concordata con il direttore, caro amico, ex compagno di studi.
E l'inciso, che sentivo doveroso, serve anche a svelare il senso della parentesi nel titolo della rubrica.
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