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domenica 6 Ottobre 2024
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    Dal Gobetti Volta ad Auschwitz, diario dal Treno della Memoria. Giorno 3

    Il terzo giorno si arricchisce di emozioni con la visita del campo Auschwitz 1 durante la mattinata.

    Una lunga fila di studenti attende impaziente di poter varcare il famosissimo ingresso che, prendendosi gioco dei deportati, recita “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi.

    E’ interessante notare come la lettera “B” sia in realtà posta al contrario: si tratta di un gesto di ribellione del prigioniero fabbro a cui era stato affidato il compito della realizzazione.

    Al di fuori della doppia recinzione di filo spinato si trova l’ospedale dove le SS venivano curate, in contrapposizione con il Crematorio posto di fronte; quest’ultimo non venne distrutto perchè utilizzato durante i bombardamenti degli Alleati come bunker dai soldati tedeschi.

    Entriamo nell’edificio e ci troviamo all’interno di una sorta di seminterrato capace di contenere fino a settecento persone; sul soffitto una piccola finestrella dalla quale oggi filtra la luce, ma in passato utilizzata dai nazisti per rilasciare lo Zyklon B (gas velenoso che uccideva le anime agonizzanti in 15/20 minuti.

    Nel vano adiacente, diversi forni crematori nei quali gli stessi prigionieri appartenenti al Sonderkommando, erano costretti a bruciare i corpi dei loro compagni.

    Appena superata la soglia seguiamo il percorso che i deportati facevano ogni giorno accompagnati dall’orchestra. Il gruppo musicale era composto da artisti-prigionieri, il cui lavoro era meno devastante fisicamente ma distruttivo a livello psicologico.

    La guida ci ricorda la violinista Elena Dunicz Niwinska che vedendo arrivare sua sorella dovette continuare l’esecuzione senza poter scambiare con lei nemmeno una parola: non l’avrebbe più rivista.

    Nel blocco 11 i dormitori delle guardie e le sale dei processi sommari; al piano sotterraneo le celle dei prigionieri, tra le quali le celle delle morte, dove i detenuti potevano stare solo in piedi in uno spazio ristrettissimo senza cibo ne’ acqua.

    A questa terribile morte fu condannato anche padre Massimiliano Kolbe, che si offrì di morire al posto di un padre di famiglia e di cui è conservata memoria nella cella 18.

    L’impressione più forte forse l’abbiamo provata davanti alle prove dei crimini: mucchi di occhiali, scarpe, pentole, valigie con i nomi dei proprietari e infine capelli, montagne di capelli che servivano per creare un tessuto molto resistente.

    Nel blocco successivo gli impressionanti disegni di David Olere, rimasto ad Auschwitz fino al ‘45, documentano in modo realistico e straziante la situazione dei detenuti nel campo.

    Uscendo l’attenzione di tutti è attirata dalla grande piazza dell’appello dove i prigionieri dovevano disporsi al mattino e alla sera per essere contati, in modo da registrare i continui cambiamenti numerici.

    Infine la vista all’esposizione della storia dell’Olocausto, dalla vita del mondo ebraico prima della guerra , all’avvento del regime, allo sterminio pianificato. Come non rimanere atterriti dalla sala che ricorda il milione e mezzo di bambini uccisi, o esterrefatti di fronte al registro dove sono stati riuniti più di 4 milioni di cognomi di vittime della Shoah!

    Prima di lasciare il campo l’ingresso tutti insieme al cortile del blocco 11 dove si trova il cosiddetto Muro della Morte, teatro delle fucilazioni. Li’ abbiamo deposto la nostra corona del treno della memoria 2019.

    Nel pomeriggio ritrovo per tutti presso il grande cinema Kijow di Cracovia per ascoltare i testimoni.

    A moderare l’incontro è Ugo Kafaz, da sempre l’anima del treno toscano. Cominciano a parlare le sorelle Bucci: oggi è con noi anche Andria, che racconta con gli occhi di bambina i ricordi della sua permanenza ad Auschwitz: la separazione dalla mamma che tornava a trovare lei è Tati per ricordare i nomi, i giochi con gli altri bambini contornati da mucchi di cadaveri, senza che questo provocasse stupore, la terribile fine del cuginetto Sergio.

    Poi è la volta di Silvia Rusich, figlia di un partigiano di Paola, che racconta la vita di suo padre leggendo uno stralcio del libro da lui scritto e di Vera Vigevani Jarach ebrea italiana rifugiatasi in Argentina con la famiglia all’indomani delle leggi razziali.

    È una madre di Plaza de Mayo in seguito alla morte della figlia Franca negli anni della dittatura militare di Videla e ci comunica con un’energia incredibile il suo messaggio: “Mai più in silenzio!”.

    Le testimonianze dal vivo sono alternate a video di interviste fatte a persone scomparse o impossibilitate a essere presenti: il tedesco di etnia sinti Hugo Hollenereiner, che racconta di aver subito assieme al fratello un iniziale esperimento del famoso dottor Mengele, il deportato politico Marcello Martini, che al momento della cattura aveva solo 16 anni e il militare ribelle al nazifascismo Antonio Cesari, salvo sotto un mucchio di cadaveri in una fossa comune.

    A conclusione di tutta la giornata il commovente spettacolo del musicista Enrico Fink, che aiutato dalla sua orchestra ha ripercorso la storia della sua famiglia nella notte terribile del 1943 in cui il nonno venne arrestato e deportato.

    Sembra davvero impossibile aver visto, sentito e vissuto tutto questo in una sola giornata. Una giornata che sicuramente rimarrà ben impressa dentro di noi è che i chilometri che percorreremo per tornare a casa non saranno certo in grado di annebbiare.

    I ragazzi del Gobetti Volta sul Treno della Memoria

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

    Un laboratorio di giornalismo che ormai va avanti da oltre due anni, grazie alla splendida collaborazione degli insegnanti e della dirigenza dell’Istituto Statale di Istruzione Superiore “Gobetti-Volta” di Bagno a Ripoli.

    Il Gazzettino del Chianti ha deciso quindi di dare una organicità a questa collaborazione creando questo apposito spazio in cui troveranno spazio tutti gli articoli scritti dagli studenti e dalle studentesse di quella che è l’unica scuola superiore presente nel nostro territorio.

    Scriveranno anche di questo, del territorio in cui vivono e dal quale tutti i giorni “partono” per andare a scuola. Ma anche della scuola stessa, di quello che vi accade.

    Articoli scritti da ragazzi dalla prima alla quinta superiore, seguiti dalla nostra redazione ma lasciati liberi nella scelta degli argomenti. Anche di sbagliare. In un piccolo-grande laboratorio di giornalismo aperto e plurale. Buona lettura!

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