Questo articolo lo dedico ad un amico che è morto nella notte tra il 3 e il 4 agosto, all’anagrafe Bernd Witthuser ma per tutti era Barnelli del duo Otto e Barnelli.
Qualcuno di voi lo ricorderà all’altra domenica con Renzo Arbore (dal 1976 al 1979) oppure nel film “Il Pap’occhio” nel 1980 oppure per averlo trovato in uno delle migliaia di spettacoli in strada che ha fatto in tutta la sua vita.
Ma per me, e per tutti i compagni artisti di strada, era semplicemente Barnelli, l’amico, il collega, il compagno, l’amante della vita, delle donne, della birra, della musica e di tante altre emozioni che ha suscitato in tutti noi.
Come si può salutare e ricordare un amico? Probabilmente lui direbbe con un ciao e una birra, ne sono quasi certo.
Voglio raccontarvi però come io e Cesare Bardaro (con cui ho lavorato in strada per anni) lo abbiamo conosciuto tanti anni fa.
Sarà stato il 1996 o il 1997 e noi dovevamo lavorare ad “Arte in Chiozza”, un festival di teatro di strada a Chioggia, eravamo andati in treno e stavamo percorrendo a piedi, a luglio, con un caldo insopportabile, il viale che dalla stazione va al centro di Chioggia, avevamo ovviamente tutte le borse dello spettacolo e quelle personali sulla schiena e stavamo morendo di fatica.
Sapevamo che a quel festival avrebbero partecipato anche Otto e Barnelli ed eravamo curiosi di conoscerli poichè noi facevamo teatro di strada da appena due anni e non li avevamo ancora trovati sulla nostra strada.
Da lontano vedemmo arrivare un furgone e riconoscemmo che erano Otto e Barnelli che stavano arrivando al festival, ci girammo per vederli passare e loro si fermarono, ci guardarono, noi stavamo per dire: “Otto e Barnelli?” …quando Barnelli ci anticipò e disse: “Federico e Bardarossa?” E noi, molto stupiti dal fatto che ci avessero riconosciuti loro in quanto, al loro confronto, eravamo dei perfetti sconosciuti, e dicemmo solo: “Si”.
Barnelli ci disse: “Salite che fa caldo” e ci fecero accomodare sul loro furgone con tutte le valigie ed arrivammo a Chioggia insieme.
A quel punto mancavano solo cento metri ma questo non conta, l’emozione per noi fu grande e ci dimostrarono che erano persone aperte, sincere e amichevoli.
Così parcheggiarono il furgone, scendemmo tutti e ce ne andammo a bere una birra seduti al tavolino di un bar e a fare conoscenza.
Eravamo felici come due bambini ai quali hanno appena offerto il gelato. Negli anni poi li abbiamo incontrati tante altre volte in tanti festival e ogni volta era come rivedere degli amici che non vedi da un poco.
Avevo una domanda che desideravo fargli da tanto, così aspettai di conoscerlo meglio e di entrare un poco in confidenza e poi gli dissi: “Otto, Barnelli, mi spiegate una cosa per favore, ma perchè negli anni '70/'80 avete avuto l’occasione grande di lavorare con Renzo Arbore e poi non avete continuato a lavorare con lui ma avete scelto la strada che è sicuramente più complicata e meno redditizia?”.
Mi guardarono insieme e mi dettero la risposta più bella che io abbia mai avuto a una mia domanda (e io ne faccio molte) mi dissero semplicemente così: “Noi quando lavoravamo in televisione lo facevamo davanti a una telecamera, poi quando abbiamo fatto il cinema lavoravamo davanti a una cinepresa e tutte e due avevano un occhio solo, a noi mancava di vedere davanti due occhi, le persone, noi vogliamo lavorare per le persone non per un occhio”.
E probabilmente quello è stato uno dei motivi per cui anche io poi negli anni lasciai la tv e mi dedicai prima al teatro di strada e poi al clown dottore…perchè lo si fa per le persone.
Barnelli, classe 1944 ha vissuto così tutta la sua vita in completa anarchia, in totale controtendenza fin dalla nascita poichè ha scelto di nascere il 29 febbraio e di compiere così idealmente un anno ogni quattro.
Ha lavorato in strada per quasi 50 anni, viveva in una roulotte nei boschi di Murci vicino a Scansano (Grosseto), a volte la domenica inforcava la sua moto con attaccata la grancassa dietro e andava a suonare in strada a Roma oppure in giro per l’Italia in altri festival, paesi, città, borghi o dovunque potesse trovare una birra e due occhi per cui suonare.
Vorrei riuscire a trasmettere a tutti voi che leggete la sensazione che si provava quando lo si incontrava al bar o quando si assisteva a un suo spettacolo.
Non era solo musica, era comicità, ritmo, allegrezza, paura, orrore e stupore, azzurro, nero e rosa shocking. Era notte e tempesta, era un ululato alla luna però fatto col culo, poesia d’amore recitata a schiaffi, carezze date coi gomiti.
Sentivi che i tuoi piedi partivano per provare a ballare ma non sapevi se era il caso di farlo, e se si arrabbia?
Pensavi…poi ti dicevi no, non può arrabbiarsi, sta suonando per cui vorrà che io balli, provavi a fare un passo e ti guardava male, ti fermavi ma ti rendevi conto che stava guardando un’altra persona, allora ci riprovavi, potevi farlo, lo facevi ma all’improvviso ti accorgevi che non c’era più la musica, e nemmeno lui, ti sentivi strano, ti voltavi e dietro di te ti trovavi due tendine rosse che si aprivano all’improvviso e appariva la faccia di Barnelli che ti stava urlando qualcosa addosso e tu ti chiedevi….ma come ha fatto a passare dietro senza farsi vedere?
Ebbene sappiate che lui lo poteva fare perchè era musica e la musica vola, passa, si alza e si abbassa, urla, strepita e innamora.
E’ MORTO BARNELLI, QUE VIVA BARNELLI.
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