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giovedì 25 Aprile 2024
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    “Io, sopravvissuta ai campi di concentramento”: Kitty Braun al Gobetti-Volta

    Martedì 30 gennaio, in occasione del Giorno della Memoria, all’iItituto Gobetti-Volta si è tenuta una conferenza sui temi della Shoah con testimonianza diretta di Kitty Braun.

    Kitty è una sopravvissuta ai campi di concentramento e ha voluto raccontare la sua terribile esperienza ai giovani alunni delle superiori, perchè sia di monito alle nuove generazioni:

    “Sono nata nel 1936 – ha iniziato – e quando sono cominciate le persecuzioni ero molto piccola, quindi ciò che vi racconterò è la versione della storia vista dagli occhi innocenti e increduli di una bambina”.

    Kitty e la sua famiglia, composta da cinque persone (mamma, babbo, il fratello Roberto e la nonna), vivevano a Fiume, una località vicino a Trieste.

    Nel 1939, Mussolini introdusse le leggi razziali e iniziarono le persecuzioni agli ebrei. Quando fu dato fuoco alla sinagoga davanti a casa di Kitty, la famiglia decise di abbandonare Fiume durante la notte e di recarsi a Trieste dovendo lasciare la nonna inferma e la colf a casa.

    “La prima notte – ha ricordato – alloggiammo in un albergo vicino alla stazione e per non dare troppo nell’occhio, io e mio fratello Roberto dovevamo parlare a voce bassa, evitare di ridere, saltare, urlare e vi assicuro che per dei bambini è un sacrificio enorme”.

    Successivamente la famiglia alloggiò in case in affitto a Mestre: “A Marghera c’erano spesso incursioni e bombardamenti – ha raccontato Kitty – e, per non sentire più il frastuono pauroso delle sirene di allarme, andavamo in aperta campagna e ci sdraiavamo sul prato a guardare il cielo. I razzi che venivano lanciati di notte sembravano balocchi e facevano diventare il cielo rosso. Non avevo paura perchè erano lontani da noi e accanto a me c’erano i miei genitori, che mi infondevano davvero una grande sicurezza”.

    L’abitazione successiva fu un fienile in campagna, di proprietà di una famiglia di contadini che ospitò la famiglia: “Qui erano coltivati mais e viti e non pativamo la fame anche se  mangiavamo sempre le stesse cose”.

    Purtroppo la mattina dell’11 novembre, alle ore sei, rrivarono le SS sollecitate dalla denuncia di un conoscente di Fiume e la famiglia fu portata in un carcere a Santa Maria Maggiore.

    “La mattina del 14 gennaio, il giorno del mio compleanno – ha raccontato la donna, sempre sorrident e- fecero salire decine e decine di persone su veri e propri carri bestiame con una finestrina piccolissima ciascuno. Alla fine arrivammo a Ravensburg, un campo di concentramento organizzato, provvisto di letti a castello e servizi igienici”.

    “Ci sono delle cose – ha spiegato Kitty con amarezza – che, soprattutto da bambina, rimangono timbrate nel cuore. Ogni notte dal letto soprastante il mio, vedevo cadere pidocchi: vi assicuro che eravamo infestati da questi parassiti e avevamo le unghie nere a forza di ucciderli  con le dita…”.

    Mentre la mamma era costretta ai lavori forzati, Kitty raccontava favole a lieto fine a suo fratello, suo cugino e a tutti i bambini della baracca in cui vivevano.

    Per l’arrivo imminente degli Alleati, tutti i deportati del campo di Ravensburg furono trasferiti a Bergen-Belsen: “In confronto all’altro campo, questo era tremendo: non c’erano nè servizi igienici (esisteva solo una fossa esterna) nè letti. Tutti quanti eravamo ammassati a terra. Ricordo che stetti così tanto con le gambe al petto che una volta liberati dagli Alleati Inglesi non riuscivo a camminare”.

    In questo campo Kitty ha visto morire suo cugino Silvio e suo fratello Roberto: “Sentire mio fratello gridare e piangere – ha raccontato con le lacrime agli occhi – è stato straziante. Le mie parole di consolazione non servivano a nulla perchè tutto ciò che lui avrebbe desiderato era la mamma, che però non poteva essere con lui perchè era obbligata a svolgere i lavori forzati…”.

    Dopo questa terribile e straziante esperienza, la famiglia si è ritrovata finalmente libera a Fiume.

    “Quando sono uscita libera dai campi di concentramento – ha concluso – con i miei genitori, ho incontrato l’amore della mia vita, Gianfranco e ho fondato una famiglia con lui. Ho rischiato seriamente di morire, ma grazie alla fede in Dio e al suo accompagnamento speciale, non ho avuto paura. E oggi sono qui a parlare alle nuove generazioni di quello che è stato solo poco tempo fa. Ciò che mi auguro è che una cosa del genere non accada mai più. È questo lo scopo delle mie visite alle scuole: la testimonianza vale più di mille raccomandazioni”.

    Articolo di Sofia Innocenti

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

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