E’ di solo qualche giorno fa la notizia della violenza di un uomo nei confronti di una donna avvenuta in una zona della Valdelsa.
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Purtroppo notizie come questa ci ricordano come tale fenomeno sia molto presente e non riguarda solo fatti di cronaca provenienti da altre regioni.
Ma cos’è veramente? Quali possono essere le sue origini? Può succedere a chiunque? Che spiegazioni ci possono essere e in che modo possiamo intervenire?
Il mio interesse di psicologo è quello di trattare tale tematica nel modo più ampio ed esaustivo possibile, per questo, ho deciso di suddividere in almeno 3 articoli questo argomento.
In questo primo articolo affronterò alcuni aspetti molto più generali, con l’aiuto di qualche statistica e partendo da qualche definizione.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 2002) identifica la violenza generale come: “Uso intenzionale della forza fisica o del potere, minacciato o reale, contro se stessi, altre persone o contro un gruppo o una comunità da cui conseguono o da cui hanno un’altra probabilità di conseguire lezioni, morte, danni psicologici, compromissioni nello sviluppo o deprivazioni”
Feder (2008), nello specifico, definisce la violenza sulla donna come: “l’esercizio del potere sul partner o ex partner diretto a fargli del male, o l’esercizio del controllo che produce un danno nell’immediato o qualora venga ripetuto nel tempo”
Spesso si corre il rischio di pensare alla violenza nelle relazioni di intimità solo come ad un’azione fisica e non a tutta una serie di altri tipi di violenza come: Violenze psicologiche come intimidire, urlare, insultare e svalutare. Violenze materiali quali rompere oggetti, sbattere porte e finestre. Violenze economiche cioè ogni forma di controllo dell’autonomia economica del partner. Come non fare accedere il partner al c/c, intestare tutti i beni a nome proprio, pretendere rendiconti dettagliati di ogni minima spesa. Violenze sessuali quali i rapporti sessuali forzati e altre forme di coercizione sessuale.
Diversi atteggiamenti di potere e controllo: ridicolizzare le lamentele del partner, isolarlo dalla famiglia d’origine e dagli amici, controllarne i movimenti, limitare le possibilità di scelta e realizzazione personale.
Ed indubbiamente anche violenze fisiche come: schiaffi, pugni, calci, spintoni, percosse e utilizzo del corpo per intimidire e controllare.
Anche lo stalking, cioè quel comportamento persecutorio ripetuto e intrusivo come minacce, pedinamenti, molestie, telefonate o attenzioni indesiderate, rientra nella definizione di violenza di tipo fisico, materiale e psicologico.
Secondo un’indagine del 2013 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la violenza fisica o sessuale colpisce più di un terzo delle donne del mondo e la violenza domestica inflitta dal partner ne è la forma più comune. In Italia le stime dell’Istat del 2014 parlano di circa 7 milioni di donne tra i 16 ed i 70 anni che hanno subito nel corso della vita, dentro e fuori della famiglia, una forma di violenza fisica o sessuale e nel 63% dei casi i figli vi hanno assistito. Le donne più colpite sono quelle nella fascia dai 16 ai 24 anni. Solo il 7,3% delle vittime che subiscono violenza fisica o sessuale denuncia l’accaduto.
Molto spesso la violenza è messa in atto da persone che la donna conosce con cui c’è un rapporto intimo ed è indipendente da alcune caratteristiche quali età, nazionalità, status sociale, istruzione e occupazione.
Molte teorie sono state avanzate per spiegare tale fenomeno, molto spesso associando la violenza alla presenza di patologie psichiatriche o abuso di sostanze degli uomini.
Come indicato dall’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) e dall’OMS la realtà è che le violenze sulle donne “trovano le loro radici in sistemi sociali e culturali fortemente segnati da rappresentazioni e percezioni del femminile come subalterno e dalla legittimazione sociale per gli uomini dell’uso della violenza come risorsa per fronteggiare conflitti e disagi” (United Nations, 1993).
Molto spesso le violenze contro le donne tendono ad essere più diffuse in quei paesi dove, per affermare l’autorità maschile all’interno della coppia, le norme culturali tendono a giustificare il ricorso alla forza.
Le conseguenze possono essere di vario tipo e ricadere anche sui figli. Si possono avere conseguenze fisiche come lividi, fratture, lesioni fino al femminicidio ma anche conseguenze di tipo psicologico che si possono sommare a quelle di tipo fisico.
Da un punto di vista psicologico in determinati casi si può incorrere in depressione, ansia, disturbo da stress post-traumatico, idee suicidarie, disturbi dell’alimentazioni, bassa autostima, fobie ed attacchi di panico.
Ci possono essere anche gravi conseguenze da un punto di vista sociale come l’isolamento dalla famiglia di origine è in alcuni casi anche l’etichettamento da parte di alcune persone con pensieri quali “se l’è cercata” “se volesse potrebbe denunciarlo” “se ci sta ancora insieme allora non è così grave o lo vuole anche lei” “è una donna stupida o debole altrimenti lo denuncerebbe o andrebbe via di casa”.
Pensieri e idee generati anche dall’ignoranza delle dinamiche psicologiche che coinvolgono le vittime e che purtroppo a volte portano ad una forte indifferenza o svalutazione della problematica da parte di familiari, amici e vicini.
Come detto poco sopra ci possono essere delle conseguenze anche sui figli che se piccoli non hanno gli strumenti per comprendere quello che sta realmente accadendo e tutto ciò può provocare danni da un punto di vista fisico e psicologico sia di breve che di lunga durata fino all’età adulta.
Se in qualche modo vi siete riconosciute/i in questo articolo o conoscete persone che in qualche modo sono soggette a queste violenze, per quanto difficile, per quanto si creda che le cose possano migliorare da sole, denunciate e/o chiedete aiuto a persone di fiducia. Un utile e affidabile fonte può essere questo sito https://www.artemisiacentroantiviolenza.it.
Nel prossimo articolo approfondirò le conseguenze che possono riguardare i figli ed il perchè nonostante le violenze, è così difficile uscirne o denunciare.
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