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giovedì 25 Aprile 2024
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    Imitare, voce del verbo amare? Come “diventiamo”… la persona amata

    “La mia dolce metà”, “la mia anima gemella”, “una cosa sola”: sono tutte espressioni diventate proverbiali per indicare quell’esperienza comune che tutti facciamo durante la formazione di una relazione affettiva.

     

    Questo forte senso di appartenenza e unione è stato da tempo indagato dalla psicologia (Aron et al., 1991) e descritto come una inclusione dell’altro nella propria rappresentazione di Sè.

     

    Arriviamo così ad assimilare le caratteristiche della persona amata, integrando la nostra identità con la sua. In altre parole è quel processo che permette di passare dal pensarsi “Io con te” al percepirsi “Noi”.

     

    Ciò avviene attraverso una conoscenza/integrazione reciproca che passa non solo attraverso il dialogo e la parola ma anche attraverso un’esperienza più diretta dell’altro, che potremmo chiamare “incarnata”.

     

    Tale perlomeno l’ipotesi di due ricercatori inglesi, Maister e Tsakiris (2016).

     

    Sappiamo come la conoscenza del prossimo si basi sull’attivazione di un gruppo speciale di neuroni chiamati neuroni specchio. L’attivazione di questo tipo di neuroni comporta una sorta di “riproduzione” a livello corporeo dell’esperienza osservata.

     

    Perciò arriviamo a conoscere quello che l’altro sta provando rivivendolo noi stessi, una conoscenza, appunto, “incarnata”. (Gallese & Sinigaglia, 2011). In questo modo viviamo, almeno un po’, le esperienze altrui osservate,  ciò che è alla base dell’empatia.

     

    Ma in che modo questi processi universali sono attivi in un rapporto di coppia? E’ lecito aspettarsi che il senso di intimità e di unione di un rapporto passi anche attraverso questi aspetti neuronali?

     

    Nel loro ingegnoso esperimento, Maister e Tsakiris hanno chiesto al partner e ad un caro amico/a dei partecipanti di eseguire davanti a loro una sequenza di movimenti. I partecipanti stessi dovevano poi riprodurre tali movimenti il più rapidamente possibile.

     

    Dai risultati è emerso come i solerti partecipanti fossero più veloci nel caso in cui imitavano il proprio partner. Dunque poichè l’imitazione dipende dalla più complessiva capacità di rivivere in noi le esperienze altrui, quest’ultima capacità sembra essere maggiore quando applicata al partner (che viene infatti imitato con più velocità).

     

    In effetti l’imitazione di un comportamento rappresenta un particolare tipo di esperienza “incarnata” dell’altro, implicante l’attivazione dei neuroni specchio. Ci aspettiamo quindi che tanto più questa esperienza “incarnata” dell’altro risulta presente tanto più riusciamo ad imitare l’altro con facilità.

     

    Ma non è finita qui.

     

    Tale capacità d’imitazione dell’altro sembra essere modulata anche dalle proprie esperienze di vita. I ricercatori hanno infatti scoperto che quelle persone che, sulla base della loro storia di vita e di attaccamento, hanno una forte ansia di essere abbandonati sono stati più efficienti degli altri, nell’esperimento, ad imitare il partner.

     

    Probabilmente questo rispecchia una inconsapevole strategia per garantirsi la vicinanza dell’altro e gestire la propria paura di abbandono. Infatti chi di noi sperimenta questa ansia di abbandono, nutre anche un maggior desiderio di vicinanza ed intimità (Slotter & Gardner, 2012).

     

    A prescindere dalla propria storia di vita, lo studio sembra comunque dimostrare che per sviluppare una conoscenza/intimità con il partner facciamo un’esperienza “incarnata”. Viviamo nel nostro corpo l’esperienza che sta vivendo il partner, più di quanto avvenga per un nostro amico.

     

    La ricerca futura chiarirà ulteriormente i processi implicati, nel frattempo sappiamo (VanBaaren et al., 2009) che essere imitati, nella postura piuttosto che nella gestualità, è associato ad un maggior senso di vicinanza e intimità ed è un’azione portata avanti, consapevolmente o meno, per stabilire una relazione.

     

    Che il gioco di specchi abbia inizio!

     

    Bibliografia
     

    – Aron, A., Aron, E. N., Tudor, M., & Nelson, G. (1991). Close relationships as including
    other in the self. Journal of Personality and Social Psychology, 60(2), 241–253.

     

    – Gallese, V., & Sinigaglia, C. (2011). What is so special about embodied simulation? Trends in Cognitive Sciences, 15(11), 512–519.

     

    – Maister, L., & Tsakiris, M. (2016). Intimate imitation: Automatic motor imitation in romantic relationships. Cognition,152, 108-113.

     

    – Slotter, E. B., & Gardner, W. L. (2012). How needing you changes me: The influence of attachment anxiety on self-concept malleability in romantic relationships. Self and Identity, 11(3), 386–408.

     

    – Van Baaren, R., Janssen, L., Chartrand, T. L., & Dijksterhuis, A. (2009). Where is the
    love? The social aspects of mimicry. Philosophical Transactions of the Royal Society B: Biological Sciences, 364(1528), 2381–2389.

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

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