Questa volta siamo partiti da un titolo illustre, “La Biblioteca di Babele”, un racconto dello scrittore argentino Jorge Luis Borges.
Ed ecco dov’è arrivata la fantasia dell’autrice… incontri soprannaturali e discussioni, forse, anche troppo naturali.
“La biblioteca di Babele”
di Miriam Bandini
Anche quella sera avevamo discusso, sempre le solite cose, e ciliegina sulla torta quel giorno, secondo lui, ero anche umorale.
Io umorale? Io che mantengo la calma come un monaco zen di fronte al fatto che lascia tutto in disordine, non butta via la spazzatura, e non abbassa mai la tavoletta del water. Sarei stata umorale perché dopo mille anni avevo sbottato, ci vuole il coraggio e tutta la sua faccia tosta a dirlo.
È inutile, qualche volta pare proprio si parli due lingue, e non ci si capisce. Lui era uscito a bere una cosa con i suoi amici per schiarirsi le idee, e io cercai di rilassarmi chiudendomi nello studio per scrivere i compiti per il corso di scrittura.
Ci sono tutti i miei libri da quando ero ragazza, sistemati sugli scaffali della libreria in quella stanza.
Quanti ricordi mi tornano in mente ogni volta che ho davanti tutti quei volumi: la letteratura italiana e latina, la filosofia, l’epica e la fisica del liceo, e poi la matematica, l’economia, il diritto dell’università, e poi ancora tutti i romanzi i libri di poesie i saggi di storia e infine i miei diari.
Di fronte a tutta quella carta polverosa già mi sentivo meno confusa e agitata, aprii il quaderno di appunti ed iniziai a scrivere, la mano faceva scorrere la penna sul foglio seguendo la velocità del pensiero, un pensiero ancora affannoso confuso, ma sempre più lineare via via che scrivevo, e si dipanava da quei nodi che mi si legano dentro quando cedo alla rabbia.
Respiravo profondamente, e la penna iniziò a rallentare.
Ero seduta alla scrivania, ma una voce dietro le spalle mi distrasse. Mi voltai e vedi seduto sulla poltroncina un bell’uomo abbronzato e muscoloso, con i capelli nero corvino ricci lunghi, vestito con un’armatura che lasciava poco all’immaginazione perché calzava sandali, indossava parastinchi e polsiere in oro, e aveva un pettorale in argento con la testa di un leone sbalzato al centro che lo difendeva dalla clavicola all’ombelico.
Sotto portava una tunichina bianca che lo copriva fino a neanche mezzo coscia, un bel vedere insomma niente da dire, il tutto impreziosito da un volto sorridente dal bel profilo orientale, uno sguardo magnetico e dolce nel medesimo tempo. Parlava e rideva con un altro tizio seduto spavaldamente sul tavolino che tengo lì accanto, sempre ingombro di miei libri da rimettere.
Quest’altro invece mi pareva un tipo originale dalla folta barba e i capelli rasati. Vestiva anche lui con una tunica corta, legata in vita con un cordone, che lo copriva sino al ginocchio, indossava strani sandali intrecciati fino all’altezza del polpaccio.
Era un tipo muscoloso, come il primo, ma non particolarmente tonico, di quei fisici allenati solo perché hanno necessità di fare qualcosa. Mi colpirono le sue mani, le aveva lunghe con dita sinuose, ispettive, e uno sguardo profondo ma che pareva assorto in mille e mille pensieri.
“La disturbiamo?” mi chiese il primo.
“No, no” risposi imbarazzata da tanto testosterone, come se quella casa non fosse mia.
“Di solito a quest’ora, questa stanza è libera e noi ci ritroviamo tra amici per fare due chiacchere e bere un buon bicchiere di vino. Stasera invece signora ci fa compagnia anche lei?” continuò il bel guerriero.
“Mi presento sono Ettore, Ettore di Troia, e questo è il mio augurabile amico, Ulisse di Itaca”.
L’altro mi sorrise e fece un cenno di saluto con la testa, mentre io strabuzzai gli occhi
“Scusate, ma non è possibile che voi possiate essere mai stati amici”. Il sedicente Ettore, lanciando uno sguardo di intesa al compagno mi risponde insolente.
“Questo lo dice solo perché Omero non ci volle fare incontrare, ma noi due saremo stati grandi amiconi. A noi uomini basta una pacca sulla spalla per capirsi, e una sbronza epica per sentirsi fratelli”.
Ulisse intervenne e continuò “Siamo due menti libere e brillanti, lui un po’ più casa e chiesa, io decisamente meno, ma se ci avessero fatto incontrare, sa quante cose ci saremo dette, quante ne avremmo inventate e fatte” continuò producendosi in una risata, carica di allusioni goliardiche che coinvolse anche il compagno.
“E nella realtà del racconto non è stato possibile per colpa di quello sciupafemmine di suo fratello Paride, e di quel cacciatore di gloria del mio compagno di battaglia Achille; ma qui, tra uomini, ci intendiamo con uno sguardo”.
Preso dall’impeto del discorso del compagno Ettore si accalorò: “Fosse stato per noi l’ira di quel bell’imbusto non avrebbe addotto infiniti lutti agli achei, Troia non sarebbe stata distrutta, e noi, dopo una bella bevuta, saremmo partiti insieme per una lunga regata turistica tra le isole del Mar Mediterraneo. Una vacanza di quelle solo per amici. Sì perché un’altra cosa fondamentale che ci accomuna son le nostre mogli, Penelope e Andromaca, noiose, inspiegabilmente rassegnate al loro ruolo, ma che ci perdonano sempre e ci aspettano a casa qualsiasi cosa noi si combini”.
Aggrottai la fronte visibilmente disturbata da quei discorsi da maschiacci, soprattutto dopo l’inutile discussione avuta con un loro simile pochi minuti prima a cena.
“Scusi” si rivolse a me Ulisse “Il mio amico è molto onesto, ma ancora non ha abbastanza esperienza su come parlare alle donne, quel che ha in un cuore e quel che dice. Mentre io mi permetto di dire la so più lunga , e capisco che forse non è la sera giusta per dirle di aver pazienza con un uomo. Lo scusi”.
“Mi scuso” si precipitò a dirmi Ettore “Ogni tanto mi faccio prendere dai miei sentimenti e ragiono sicuramente meno del mio compagno”.
Ulisse mandò gli occhi a cielo. “Per esempio”, continuò visibilmente alterato agitando il calice di vino rosso che teneva in mano.
“Io quel che mi ha fatto quel cretino di Achille non l’ho ancora digerito, potessi gli darei un bel calcio nel sedere e lo lancerei su fino al settimo cielo, per non farlo più tornare più sulla terra”
“Eh no!” Sentii una voce stridula che si aggiungeva alle altre due.
Un distinto signore con un parruccone da cicisbeo, camicia con polsi e colletto ampiamente trinati, giacca damascata dalle lunghe code, e pantaloni al ginocchio chiusi dentro lunghe calze bianche infilate in scarpe nere dalla grande fibbia oro e tacco, camminava a passi ben distesi verso di noi, con le mani incrociate dietro la schiena.
“Allora bestie” redarguì i due fustacchioni discinti con fare da professore alla verifica di fine anno “Discorsi così li possono fare solo palestrati come voi, perché i fisici veri ragionano come me” e alzò la voce nel pronunciare quel pronome, “ …e non venitemi a dire – Ehi zio Isaac, io sono un eroe omerico, io sono un mito, a me è permesso raccontare e inventare quello che voglio -” disse con una vocina ancora più stridula.
Poi con fare rabbioso continuò “Perché io vi brucio il cavallo, vi spezzo le spade, vi rimando a settembre. Studiate, osservate! Esiste la forza di gravità, easy!”, e tirando fuori da dietro la schiena le due mani scoprii che stringeva due belle mele rosse, che improvvisamente e senza preavviso, lanciò colpendo in pieno volto i due fisiconi.
“Questa è la forza di gravità, Achille ve lo ritroverete sempre tra i piedi, caproni!”.
Io ero senza parole: una vera battaglia per la supremazia maschile era in corso nel mio studio, e la cosa mi divertiva molto. Quando ecco, da dietro la tenda, vedo avanzare altre due figure.
Mi parevano uomini sulla mezza età, vestiti con delle belle tuniche lunghe fino ai piedi, e con due corone di alloro in testa come si usano mettere ora i ragazzi quando si laureano.
“Suvvia!” sentii dalla bocca di quello con la tunica porpora “Niutonne, Oh che tu fai! Fatti non foste a viver come bruti!
Di giorno combattiamo per l’onore e per il pane,
ma di notte ci finiamo con le carte e le puttane,
mescoliamo nel bicchiere odio e rabbia con il vino,
un ventuno un sette e mezzo una briscola e un ramino.
Scusate ma stasera ho l’endacasillabo sciolto! ‘Un vi posso veder adirati, non c’è nulla di così importante da mettersi il muso tra noi messeri, se si vole ci s’intenda la volo”.
“Mr Alighieri, I suppose.” lo salutò il professor Isaac Newton un po’ indispettito. “E poi ragazzi” continuò il sommo poeta “ Voi ragazzi poi vi capisco, le mogli le sono una gran rottura, guarda la mi’ Gemma Donati, ci si diceva buongiorno e buona sera ed era già troppo”.
Chi lo accompagnava alzò la mano e sbuffò un pigro “Ave” e quindi disse “Sì, lui ha la sua Bea!” facendo una smorfia “Io ho attraversato l’inferno con lui, sarò o non sarò un amico vero? Ma poi, tutte le volte, mi lascia nel Limbo, e va via con lei”.
Ulisse rise forte “Virgilio non te la prendere! Sai come si dice, Tira più…”. Anche il pudico Ettore a quel punto si mise a ridere “Tanto poi torna, e te lo dico io a ragion veduta!” continuò l’ingegnoso re di Itaca.
“Caro Ulisse”, continuò il poeta latino “per me l’amore per una donna è sempre stato una cosa tormentosa, meglio avere buoni e fraterni amici”. Newton si schiarì la voce con un colpetto di tosse “Mi trovo a concordare completamente con voi, Sir, io le donne non le ho mai capite, difatti non mi sono mai sposato, prima di arrovellarmi nel dubbio di cosa volessero e cosa intendessero con i loro discorsi contorti, ho preferito proprio non frequentarle, e mi sono dedicata ad altri giramenti di sfere.”
Ettore tutto contento preso dall’entusiasmo continuò “Allora la crociera per il Mediterraneo facciamola tutti insieme!”.
“Ottima idea!” continuò Dante “A me i viaggi mi son sempre garbati parecchio”.
“Io comunque” continuò Virgilio “ A questo punto passerei a chiamare Socrate, so che ha litigato anche stasera con quell’arpia di sua moglie Santippe, gli facciamo una cortesia e gli togliamo un po’ veleno dal cuore”.
E gli altri in coro “Poveraccio, che finaccia ha fatto!”.
“Bene, allora si parte” continuò Ulisse.
A quel punto la misura mi sembrava colma. “Signori, permettetemi, ma non avete un minimo di rispetto per noi donne!”, esclamai.
Dante mi si avvicinò: “Signora non se la prenda, siamo uomini, lei una donna, e quindi è difficile capirsi, parliamo lingue diverse che pare di essere a Babele anche se parliamo di cosa si mangia a cena. Riverisco!”.
E con pacche sulle spalle e risate sguaiate li vidi allontanarsi tutti insieme lasciandomi sbigottita e incredula da quanto avessi sentito e visto, ma comprendendo che non vale quasi mai la pena litigare con un uomo. Tanto si parla lingue diverse e non ci si intende.
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“Raccontami una Storia” è curata da Sabrina Nesi, scrittrice e insegnante di Scrittura Creativa.
I racconti sono scritti dagli allievi ed allieve che partecipano, o hanno partecipato, ai laboratori di scrittura organizzati da Sabrina.
Nei laboratori si imparano tecniche narrative e ci si esercita per trovare idee e spunti per scrivere.
Al momento i Corsi di Scrittura Creativa sono tenuti online. Per informazioni scrivere a: sabrina.nesi@lovefromtuscany.com, o chiamare il numero 3341829607.
Sabrina Nesi è laureata in Letteratura Italiana e ha conseguito un Master in Scrittura Creativa all’università di Siena nel 2006.
Da allora ha sempre scritto e tenuto vari laboratori di scrittura, collaborando con varie associazioni, tra cui la Università Popolare di Firenze e l’Associazione Il Ponte di Empoli.
Ha una guida-blog sulla Toscana in lingua inglese: lovefromtuscany.com.