Sabrina Nesi
“Il Buio”
E un giorno il Buio sparì dalla terra.
Già da tempo le città erano illuminate giorno e notte, nei loro smaglianti grattacieli, neon fosforescenti, cartelloni digitali. I semafori infiammavano le strade, insieme a rosse sirene, flash intermittenti, e punti luccicanti a segnalare il cammino.
La campagna, quella poca che era rimasta, aveva acquisito scintillanti macchinari e antenne, fili luminosi che tracciavano disegni nei cieli in cui le stelle si rifugiavano opache.
Persino nei deserti era arrivata la luce, tramite enormi fabbricati che servivano da serre, temperate e illuminate ventiquattro ore al giorno.
Nelle case ogni angolo splendeva di schermi vibranti e immagini colorate, pulsioni elettriche, pulsanti luminosi.
Non ci si ricordava più neppure cosa fosse, il nero profondo della notte.
E così il Buio si era arreso, ed aveva abbandonato il mondo, consegnandolo alla luce perenne.
“Mamma, mamma vieni qui, dove sono andati i mostri che vivevano sotto il mio letto?” chiedeva qualche bambino, quando prima di addormentarsi ascoltava una fiaba dal suo brillante tablet.
I bambini erano fortunati perché ancora dormivano e nel mondi dei sogni ancora qualcuno incontrava il Buio e tutte le creature che lo abitavano.
Gli adulti rimpiangevano il sonno, che da quando il Buio aveva disertato la terra, se ne era andato con lui. Passavano le notti abbaglianti con bende sugli occhi, rincorrendo la tanto bramata assenza di luce.
“Ci vuole un rimedio”, decisero i potenti della terra che, nonostante amassero la luce dei riflettori, quando era troppo era troppo.
“Qualcuno dovrà andare a cercare il Buio e riportarlo a noi”.
Si fece una lunga ricerca e dopo migliaia di applicazioni e interviste, venne trovato il candidato ideale.
Si erano presentati eroi dai lunghi ciuffi biondi, giovani con muscoli di ferro, famosi scienziati, ma i loro ragionamenti e metodi di ricerca, per un motivo o per un altro, non avevano convinto nessuno; “Potremmo scavare fino al centro della terra”, “Cancellerò la luce con un laser potentissimo”, “Costruiremo piattaforme al di là dell’atmosfera”.
Ci si stava iniziando a disperare quando un ometto vestito di nero, un po’ curvo sotto il peso di una lunga barba corvina, si fece avanti.
“Io ho la soluzione. Lasciate fare a me”.
Si dimostrò talmente sicuro di sé, ed usò poche e decise parole, che mise tutti d’accordo.
Aveva occhi talmente scuri che quasi non si distinguevano le pupille, due pozzi così neri che ipnotizzavano.
Fu deciso all’unanimità: il lavoro sarebbe stato affidato a lui.
“Solo chi conosce bene il Buio può riportarlo sulla terra. E io, credetemi, lo conosco meglio di chiunque altro”.
“Datemi due settimane e riavrete il Buio”.
Nessuno ebbe niente altro da aggiungere.
Il prezzo che aveva richiesto per completare il lavoro non era neanche troppo alto, e inoltre non aveva preteso complicati strumenti o astrusi viaggi intorno al mondo, il che era sembrato ottimo ai potenti della terra che non volevano sprecare tempo né risorse.
E così iniziò il lavoro dell’ometto nero, in completa segretezza.
Restò chiuso in casa per due settimane, mentre la polizia doveva vigliare costantemente visto che vari curiosi vi si assembravano davanti. In realtà non c’era niente da vedere. Non un solo rumore proveniva da dentro, le pesanti tende nere erano chiuse e tutto sembrava perfettamente tranquillo.
Si iniziò a dubitare delle capacita di quell’individuo un po’ fuori dal comune.
“Avete visto che occhi strani che ha?”, “Come ci si può fidare di uno che ha una barba simile?”,
“Perché non è stato un po’ più chiaro? Qui gatta ci cova…” .
E invece, il diciassettesimo giorno dopo l’inizio dei lavori, l’ometto aprì la porta della sua casa e si presentò al mondo intero con un piccolo sorriso stampato sul volto e dentro quegli occhi neri come la pece.
“Ce l’ho fatta”, disse, “Quando siete pronti vi farò vedere…”.
In mezzo a non poche perplessità, venne organizzata una cerimonia ufficiale per il giorno successivo, in cui lui avrebbe riportato il Buio sulla terra.
Gli scettici dovettero ricredersi quando lui arrivò alla cerimonia puntuale e tranquillo, con le mani in tasca, un’espressione soddisfatta, e il cappotto scuro perfettamente stirato.
Dopo un discorso introduttivo del presentatore e dei rappresentanti delle varie nazioni della terra, coi visi lucidi davanti alle telecamere, apparve l’ometto vestito di nero dalla testa ai piedi, barba e occhi compresi. Un nero che sembrava ancora più intenso di prima.
Quando venne il suo turno di parlare, chiese a tutti di chiudere gli occhi. Poi tirò fuori una mano dalla tasca, se la portò alle labbra e lentamente iniziò a soffiare.
Mentre continuava il suo lungo possente soffio, in pochi minuti l’aria si calmò, le luci si offuscarono e, prima negli angoli e le stradine più strette, poi anche nel cielo, si diffuse un colore scuro che non si vedeva da mesi.
Pian piano il Buio riprese ad abbracciare edifici e foreste, si sparse per le campagne e i deserti, cavalcò libero nell’alto dei cieli facendo riemergere le stelle, anche quelle più lontane.
Si rimpossessò di cantine e ripostigli, di vicoli nascosti, di caverne, grotte, capanne e capannoni.
La notte sorrise, bonaria, e tornò ad offrire il sonno alla gente, che si abbandonò con passione alle tenebre.
Con la notte e il Buio, tornarono tutti i silenziosi mostri che abitavano sotto i letti dei bambini e anche di diversi adulti.
Quando chiesero all’ometto nero dov’era finito il Buio e come aveva fatto a riportarlo sulla terra, lui rispose con una delle sue frasi semplici e concise:
“Il Buio, veramente, non se n’era mai andato. Io ho sempre saputo dov’era. Nel posto più ovvio, dentro di me. Chiunque avrebbe potuto trovarlo, se avesse guardato nel posto giusto, cioè dentro di sé”.
“Esiste dentro ognuno di voi, basta saper riconoscerlo. Ricordatevi, è importante tirarlo fuori ogni tanto a prendere aria“.
E quando alla fine gli chiesero come mai ci avesse messo più di due settimane per guardare dentro di sé, l’ometto nero fece una risatina che risuonò nei suoi occhi scurissimi.
“Ah ah! Beh… Vi volevo solo far sospirare un po’. E poi, scusate, mi avreste pagato il compenso pattuito se ci avessi messo soltanto pochi minuti per fare il mio lavoro?”.
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“Raccontami una Storia” è curata da Sabrina Nesi, scrittrice e insegnante di Scrittura Creativa.
I racconti sono scritti dagli allievi ed allieve che partecipano, o hanno partecipato, ai laboratori di scrittura organizzati da Sabrina.
Nei laboratori si imparano tecniche narrative e ci si esercita per trovare idee e spunti per scrivere.

Al momento i Corsi di Scrittura Creativa sono tenuti online. Per informazioni scrivere a: sabrina.nesi@lovefromtuscany.com, o chiamare il numero 3341829607.
Sabrina Nesi è laureata in Letteratura Italiana e ha conseguito un Master in Scrittura Creativa all’università di Siena nel 2006.
Da allora ha sempre scritto e tenuto vari laboratori di scrittura, collaborando con varie associazioni, tra cui la Università Popolare di Firenze e l’Associazione Il Ponte di Empoli.
Ha una guida-blog sulla Toscana in lingua inglese: lovefromtuscany.com.