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giovedì 25 Aprile 2024
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    Il buio, una rotonda, e un “uccellaccio” che prende vita come in un incubo…

    "Giro incessantemente intorno a questa rotonda da almeno tre minuti. È notte fonda. Mi fa compagnia il ronzio della radio, vecchia come la mia Fiat Panda Hobby rosso sbiadito..."

    Qualcuno riconoscerà in questa storia un luogo familiare, reso piuttosto inquietante dallo sguardo creativo dell’autrice… .

    “L’UCCELLACCIO”

    di Margherita Nesi

    Giro incessantemente intorno a questa rotonda da almeno tre minuti. È notte fonda.

    Le poche auto, che sfrecciano intorno indifferenti, la squarciano con il bagliore dei fari, come fossero lampi.

    Mi fa compagnia il ronzio della radio, vecchia come la mia Fiat Panda Hobby rosso sbiadito, che ha vent’anni, portati con modestia.

    Ammaccata fuori ma sana dentro. In questo snodo di strade e autostrade le frequenze FM arrivano confuse.

    I lampioni alti e sottili appaiono, nell’ovattata foschia notturna, come giraffe dal capo chino. Mi abbagliano il vetro del cruscotto quando ci passo sotto.

    Sono indecisa. Devo svoltare in una di queste strade che dipartono a raggiera dall’aiuola rotonda.

    Il pratino tagliato corto è grigio-verde nella luce notturna ed al centro, ben illuminato dal basso da tre proiettori a luce calda, si erge una statua di pietra bianca.

    Ai primi passaggi non l’avevo notata, ero troppo concentrata a leggere i cartelli verdi e blu che mi suggerivano le direzioni da prendere.

    La massa bianca e rotondeggiante ha la forma di un uccello grosso, goffo. Mi colpisce la stazza delle zampe che, invece di essere sottile e leggiadre come quelle di un passerotto, sono possenti, pesanti come quelle di un elefante.

    È un uccellino destinato a non volare mai, penso.

    Giro ancora intorno, catturata nello studio di quella scultura tanto curiosa. La testa e il corpo sono due sfere schiacciate sovrapposte.

    Il becco corto e tozzo è minuto, come l’occhio rotondo e immobile. Le ali, applicate ai lati, sembrano due gusci di mandorle.

    La coda a ventaglio, massiccia, è tesa in alto, come se l’animale volesse decollare. Le luci da basso gli danno un aspetto grottesco, pesante.

    Sbatto le palpebre e in quel momento vedo di sfuggita un cartello che mi indica un nome familiare. Forse avrei dovuto girare là.

    Passo di nuovo di fronte alla statua. Le guardo la testa, il becco appuntito.

    Sbatto le palpebre. Sono stanca. La guardo di nuovo. Il becco è aperto e mi mostra i denti piccoli e affilati.

    Sbatto ancora le palpebre. La testa si è mossa ed ora l’occhio è spalancato, grande e nero. Mi fissa.

    Sbatto le palpebre, due, tre volte. Ogni volta che le chiudo e le riapro l’enorme creatura si è trasformata, la vedo sempre più minacciosa, ed io continuo a guidare girando intorno a quell’essere che ora pare vivo. Ho paura a distogliere lo sguardo da esso.

    Alla mia destra, nitida, vedo l’indicazione stradale. Risalta bene la scritta in bianco: “Nord”. Giro repentina lo sterzo e con il piede spingo sicura l’acceleratore a fondo. Guardo attraverso lo specchietto retrovisore dietro di me.

    Sbatto le palpebre. La rotonda non c’è più e nemmeno la roccia bianca. Respiro ora. Non so da quanto tempo ero in apnea. La notte di rischiara ad est, il tempo riprende a scorrere.

    Un tonfo sordo dietro fa sobbalzare me e il veicolo. Sbando di lato e mi fermo. Chiudo gli occhi e quando li riapro la scultura di pietra bianca è davanti al mio cruscotto con il becco spalancato come fauci. L’occhio cattivo mi guarda scuro.

    Con un colpo secco rompe il cristallo che va in mille pezzi e mette la sua testa grassa all’interno. Il terrore mi gela. Perdo i sensi.

    Sarà passata un’ora, milioni di anni forse, o un attimo. Riapro gli occhi piano, ho freddo e sono rigida. Intorno a me sento clacson e stridore di freni, puzzo di gas di scarico.

    Sono in trappola, chiusa dentro questa pietra bianca, con le zampe troppo pesanti per poter volare.

    @RIPRODUZIONE RISERVATA

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