Un recente fatto di cronaca locale ha suscitato molto sdegno nell’opinione pubblica, tutti ricorderanno infatti la povera volpe che, dopo essere stata investita, è stata sottoposta a sevizie da parte dell’automobilista che l’ha colpita.
Costui, infatti, dopo avere colpito l’animale, è sceso dal veicolo, si è assicurato che fosse ancora vivo e, invece che soccorrerla, la ha tagliato la coda, probabilmente per esibirla come “trofeo” .
Nelle campagne toscane, nonostante il cambiamento dei tempi, è ancora presente in alcune zone una certa subcultura, di origine contadina, che individua come “nemica” ogni forma animale predatoria o potenzialmente pericolosa e applica la “pena di morte” come unica soluzione ai danni, a volte oggettivamente esistenti, che questi esseri possono arrecare alle colture o agli animali d’allevamento.
Si leggono ad esempio notizie di innocui serpenti uccisi per il solo fatto di essere serpenti, o di animali che perdono la vita solo perchè qualcuno intende farne un trofeo, come quello di cui stiamo discutendo.
La questione, si badi bene, non riguarda il diritto o meno dell’uomo di uccidere l’animale con la caccia o di usarlo per l’alimentazione, perchè la critica a tali attività investe tutt'altro argomento ed è da temo oggetto diacceso dibattito. Riguarda la crudeltà usata gratuitamente su esseri considerati inferiori solo perchè privi di difesa.
Che succederebbe, dunque, se l’autore della mutilazione alla volpe fosse individuato?
Vi sarebbe o no una tutela giuridica?
In un caso come questo, particolare ed infrequente, ma non unico, le tutele garantite dalla legge non sono poche. L’autore del crimine, pertanto, ove individuato, potrebbe subire conseguenze pesanti.
Fino al 2004, le disposizioni di legge in vigore risalivano al 1930 ed avevano poca efficacia dissuasiva. L’art 727, puniva il maltrattamento degli animali, l’art 638, l’uccisione o il “deterioramento” di animali altrui.
In entrambi i casi, le sanzioni erano blande, perchè si riteneva che dovesse essere protetto non l’animale in sè, parificato ad una cosa, ma il sentimento di sofferenza che l’uomo (non l’animale) avrebbe potuto subire dalla visione degli episodi di maltrattamento o di crudeltà.
Fino al 2004, dunque chi avesse seviziato un animale con le modalità subite dalla volpe Vincenzo, avrebbe rischiato di subire solo la contravvenzione prevista dall’art. 638, che prevede la reclusione fino a un anno o la multa fino a euro 309. In ogni caso, gli effetti a carico dell’autore del comportamento crudele, sarebbero stati praticamente inesistenti perchè per poter procedere all’azione penale era necessaria la querela della persona offesa, cioè sarebbe occorsa la denuncia del proprietario.
Nel caso di specie, visto che l’animale è selvatico, il rischio di sanzione penale a carico dell’autore del fatto, sarebbe stato pressochè inesistente. Difficilmente, infatti, un funzionario della Regione Toscana proprietaria del “bene” Vincenzo avrebbe sporto querela
Dal 2004, però, le cose sono cambiate. Il legislatore, ha infatti introdotto nel codice penale una nuova serie di disposizioni che tutelano “il sentimento per gli animali” in sè, e all’articolo 544-ter ha previsto la reclusione da 3 a 18 mesi o la multa da 5.000 a 30.000 euro per colui che, “per crudeltà o senza necessità”, cagiona la lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche.
Oltre alla pena sensibilmente più forte, soprattutto a livello pecuniario, il reato è previsto come perseguibile d’ufficio, cioè senza denuncia da parte del suo proprietario.
Nella fattispecie concreta in esame, dunque, il crudele maltrattatore, ove individuato, potrà subire sanzioni comunque rilevanti e adeguate al suo comportamento.
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