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venerdì 29 Marzo 2024
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    Milvia ed Enzo Fantechi: a Grassina una splendida normalità che dura da oltre 60 anni

    Nel nostro percorso di racconto delle coppie "icona" del nostro territorio, facciamo tappa in terra grassinese: alla scoperta di due splendidi sposi che il 13 giugno faranno 62 anni di matrimonio

    GRASSINA (BAGNO A RIPOLI) – Quest’anno saranno sessantadue anni di matrimonio. Ma a Milvia e ad Enzo Fantechi pare che sia stato ieri quel 13 giugno 1959.

    Insieme, come ci racconta la figlia Cinzia, sono semplicemente… “loro”: una coppia unita, in sintonia ma non senza qualche screzio. Hanno fatto squadra: non solo nel senso più romantico della parola, piuttosto nella vita di tutti i giorni, affrontando le difficoltà.

    Il profumo del pranzo nella loro cucina, a Grassina, ci dà il benvenuto. Un profumo di vita domestica che rimanda alle case di una volta.

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    La loro allegra serenità che hanno negli occhi è ammirevole: “Io sono del ’27 e lei del ’35 – ci dice Enzo, come a confessare un segreto – Ci si conosceva da parecchio, come succede nei paesi: buongiorno e buonasera ma nulla di più”.

    Prende subito la parola Milvia: “Io passavo per accompagnare mia sorella Eleonora a scuola, e lui faceva già il falegname nei pressi di piazza delle scuole. Ma io lo avevo già adocchiato, perché insieme al suo fratello passavano in Vespa davanti a casa mia per andare a lavorare a Firenze”.

    Grassinesi più che doc, entrambi hanno trascorso tutta la loro vita in paese. Vedendone scorrere la vita, dalla seconda guerra mondiale fino alla pandemia da Covid-19.

    “La mi piaceva, era bellina – ci dice Enzo – Però non ero brutto nemmeno io” scherza ancora.

    “Lui mi piaceva e se ci fosse stato da dargli una zuppa ci sarei arrivata bene” scherza anche Milvia sull’altezza di Enzo. “Ma non ce ne fu mai bisogno” tiene subito ad aggiungere.

    “Per avere il primo appuntamento – ricorda – Enzo mi disse che mi voleva parlare, io però gli dissi che appuntamenti per le viottole non glieli avrei dati: se tu mi vuoi vedere si va in piazza di Grassina, gli dissi. E si fissò in piazza”.

    “La mi amava di già” sorride Enzo. Un colpo di fulmine, si misero insieme e restarono fidanzati per circa due anni.

    “Poco però” racconta Milvia “Perché io gli dissi: guarda che a strasciconi io non ci vengo”.

    Così Enzo si presentò alla futura suocera, chiedendole di poterla sposare: lui aveva trentadue anni e lei ventiquattro.

    Una coppia a tratti “moderna”, per quell’epoca, nel modo di pensare e di porsi nei confronti degli altri. Tenaci nelle loro idee di libertà, anche quando non era facile andare contro corrente.

    Entrambi frequentatori della casa del popolo. Lì, dopo la celebrazione del matrimonio nella chiesa di Grassina (più per tradizione che per convinzione), festeggiarono com’era usanza a colazione. Con gli amici e i parenti.

    Dalle fotografie di quell’occasione, nei locali del circolo che affacciavano sulla piazza Umberto I poi smantellati e ceduti alla banca che tutt’ora vi si trova, ritroviamo i volti sorridenti di tanti altri grassinesi storici. In un mondo che ci appare in bianco e nero ma che fremeva di vita.

    Poi partirono in Vespa, accompagnati dall’automobile con i parenti più stretti, verso Montecatini Alto, dove pranzarono.

    Da lì, dopo la prima notte di nozze, iniziò la loro luna di miele. Le due ruote furono il mezzo usato per il viaggio di nozze, fermandosi a tappe dove più gli piaceva lungo la costiera ligure. Fino a Savona.

    “La vita è difficile che sia tutta liscia liscia, la sarebbe anche monotona” dice Milvia continuando a raccontare “Invece se ogni tanto c’è qualche scossone almeno dopo si può fare la pace. Però noi non si sta adirati, anche se lui è più caparbio di me. Se dice una cosa l’è quella! E quando fa così è antipatico”.

    Milvia, con spirito d’iniziativa e di intraprendenza, come ancora oggi si legge nei suoi occhi, per i primi anni di matrimonio lavorò alla Manetti & Roberts nella zona di Novoli, tra mille difficoltà: la distanza, i turni e l’assenza dei mezzi pubblici da Grassina. Sia la mattina presto che la sera tardi.

    Vi riuscì a restare fino a qualche anno dopo la nascita di Cinzia. Anche lei cuciva a casa ma non si era voluta far scappare l’opportunità che le era capitata; dopo tornò alla macchina da cucire. Lui ha sempre fatto il falegname.

    Sullo sfondo del loro vivere il paese, una casa del popolo viva e vivace: “Si andava al circolo a fare servizio – dice Enzo – ma anche per le feste, come quella dell’Unità. Sulla neve: e lì io mi appassionai allo sci di fondo, anche se non ero più tanto giovane. Era bellissimo”.

    “Noi però s’andava soprattutto per stare in compagnia” confida Milvia. “Quando c’era il cinema, d’estate o d’inverno, alla casa del popolo, se c’era un film che ci interessava a tutti e due uno stava a casa con la bambina e quell’altro andava a vedere il film. Una volta per uno”.

    Una passione comune per entrambi, la bicicletta: mezzo sociale e popolare nel dopoguerra, è rimasta per loro una fedele compagna con cui spostarsi per il paese. Fino ad oggi.

    “Lei è un po’ zittona” ci dice ironicamente Enzo. “Lui chiacchiera anche di notte” ci dice lei. “Ma ora, Milvia, tutto questo non fa più storia! Il mondo è cambiato” controbatte lui serio.

    “Questo mondo ora non mi piace mica tanto, la delinquenza fin dai ragazzini e poi questa bestiaccia di virus…” scuote la testa Enzo.

    “Ora passiamo il nostro tempo sempre insieme in casa – ci spiega Milvia – Stiamo molto attenti. Sono più io che perdo a volte le staffe con lui, ci manca non poter prendere la bicicletta e andare a fare le nostre chiacchiere in piazza, vedere gli altri, comprare il giornale, andare al circolo”.

    La loro grande casa è diventata un guscio, anche se dicono di non sentirsi soli perché la figlia passa ogni giorno. E anche Sofia ed Edoardo, i nipoti, li vengono a trovare.

    “Questa pandemia la vedo male, ma non come quando c’era la guerra” continua Milvia “Eravamo solo delle bambinette: nella casa di una mia amica si era stabilito un comando di tedeschi che ci invitava, con l’inganno, per farci imparare a usare la macchina da scrivere. Lo facevano per farci confessare i nomi dei componenti delle nostre famiglie, e capire se c’erano degli uomini nascosti”.

    “Non si sapeva se e quando avremmo mangiato – ricorda – Si subì lo sfollamento a Firenze e i bombardamenti della città con la caduta dei ponti. Il freddo”.

    Il ricordo della fame, della madre sempre alla ricerca di qualcosa da poter portare a casa per mangiare, il mercato nero, i nascondigli e la paura mentre gli aerei sorvolavano la città.

    Ma poi anche i partigiani che entravano in città, marciando forte. Enzo partecipò alla ricostruzione dei ponti intorno a Firenze: “Di giorno bombardavano e di notte andavamo a ripulire dalle macerie. Avevamo paura, anche a Grassina i ponti saltarono ed il paese era mezzo distrutto”.

    E ben nitido è il suo ricordo di quando si nascose in una buca lungo la strada davanti a casa, al passaggio dei tedeschi prima dell’arrivo degli Alleati.

    Il racconto di una lunga vita insieme, che chiudono così: “Qualche battibecco c’è stato, ma è andata bene”. In questa meravigliosa normalità che dura da sessantadue anni.

    @RIPRODUZIONE RISERVATA

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