Ma nelle favole che ci raccontavano da piccoli le cose erano davvero andate in quel modo?
I cattivi erano davvero cattivii e le vittime davvero vittime?
Forse che sì, forse che no…
“ll Lupo Gelsomino”
di Margherita Nesi
È un radioso mattino d’autunno inoltrato quello che mi accoglie quando esco dalla mia tana scavata sotto le radici di un castagno secolare.
L’ho fatta bella profonda in modo tale che fossi protetto sia dal caldo durante le estati torride, che dal freddo dell’inverno che, ormai, anche quest’anno si avvicina.
Il bosco è bellissimo in questa stagione. I fusti degli alberi sono color argento e il suolo è un tappeto di croccanti foglie ruggine, che invita a corse e capriole.
Respiro l’aria frizzante, raddrizzo bene le zampe in avanti, allungo il collo e la schiena e stiro bene tutti i muscoli del corpo. Poi scatto come una molla, corro all’impazzata in circolo giocando a rincorrere la mia coda.
Faccio finta che sia un compagno di giochi con cui insceno una lotta. Mi piace correre verso il pendio e raggiungere il ruscello dove c’è la più bella pianta del bosco: un grande corbezzolo, pieno di frutti rotondi, dolci e rubizzi.
Quando sono belli maturi, cadono giù ed allora è facile per me riempirmi la pancia di questa delizia; altrimenti devo alzarmi sulle zampe dietro e cercare di raggiungerli direttamente con la bocca: mangiarli uno per uno, è una gran fatica.
“Come, come?” Vi chiederete “Mangi le corbezzole? Ma a cosa ti servono?” Cari lettori, le corbezzole le mangio perché ne sono ghiotto “Le mangi? Un lupo che mangia le corbezzole non si era mai sentito”. E invece è così.
Mi presento: mi chiamo Gelsomino e sono un lupo vegetariano. Sono il primo della mia famiglia a fare l’obiettore di coscienza e per questo ne sono diventato la pecora nera. Mangio perlopiù quello che la natura mi offre: frutta, bacche, funghi, castagne, miele, noci e nocciole.
Ogni tanto faccio una capatina nei pollai dei dintorni per rubare le uova con le quali rinforzo la mia dieta, servono a mantenere la mia pelliccia fulva bella folta e lucida.
Durante i miei primi anni di vita è stato duro imparare a procurarmi il cibo. La carne iniziò a piacermi ogni giorno di meno, fino a che non riuscii più ad inghiottirla.
La mamma voleva che imparassi a cacciare, ma io non potevo, non volevo uccidere. Lei insisteva così tanto che dallo stress mi cadeva il pelo a ciocche.
Così feci un accordo coi piccoli mammiferi della foresta: loro avrebbero fatto finta di essere catturati ed io li avrei lasciati poi, di nascosto, liberi di fuggire.
Sono stati loro ad insegnarmi tutto sulla dieta vegetariana. Ci condivido anche la raccolta giornaliera di uova che prendo nel pollaio più prolifico della zona.
Per arrivarci devo attraversare il ruscello dov’è meno impetuoso, un po’ più a valle, oltrepassare il bosco di felci e girare a destra verso l’abetina. La casetta con annesso pollaio sta proprio lì, circondata da un bel prato, nel mezzo della radura.
Ma stamattina sono in ritardo, spero proprio che la vecchia che ci abita non si sia ancora svegliata. Svelto prendo la bisaccia e la metto stretta a tracolla e corro, giù per il pendio verso il guado del fiume e poi su, sulla collina attraverso le felci e gli abeti e poi vedo il prato.
C’è qualcosa di diverso oggi: là nel mezzo della distesa verde, c’è un puntino rosso. Trotterella in direzione del sentiero che porta alla casa. Quel buffo zizzagare mi incuriosisce, e decido di avvicinarmi procedendo ratto ratto facendo di tutto per tenermi nascosto e osservare più da vicino.
Con le mie zampe veloci faccio in un lampo e riesco a nascondermi dietro un folto cespuglio di more che si trova vicino alla casa. Il misterioso puntino rosso, avvicinandosi, si rivela essere un mantello e sotto di esso c’è una bambinetta.
Ho sempre voluto avere una piccola amica, e questa mi sembra una buona occasione.
“Buongiorno tesoro” le dico, mettendo fuori il naso dal cespuglio “Come ti chiami?” Lei sobbalza per la sorpresa e risponde: ”Chi sei tu semmai. Nascosto là dietro, riesco solo a vedere il tuo brutto e grosso naso!”
Mi faccio coraggio e metto fuori la testa. ”Piccola cara, non intendevo spaventarti, mi chiamo Gelsomino”.
“La mamma ha detto di non parlare con nessuno che non conosca”.
Io incalzo: “Ma non sono un estraneo, mi sono appena presentato”.
Con la mano libera si toglie il cappuccio rosso, mentre nell’altra tiene ben stretto un cestino coperto con un tovagliolo a quadretti bianchi e rossi. Ha i capelli neri lisci raccolti in due trecce e un bel visino con occhi neri, grandi e furbi. È tutta vestita di rosso, dalla testa ai piedi.
“La mamma dice che devo sempre seguire il sentiero e non dar retta a nessuno”.
“Ma io non sono nessuno, sono Gelsomino e vorrei essere tuo amico”.
Inizio a scoraggiarmi. “Se non vuoi dirmi il tuo nome ti chiamerò Cappuccetto Rosso, ti piace?
“È il soprannome più brutto che esista! Senti, devo andare dalla mia nonna che oggi è malata e portarle le provviste. Non ho tempo né voglia di fare amicizia con te!”.
Ma che bambina capricciosa, penso, non si merita alcuna gentilezza. Le starebbe bene una bella lavata di capo. Lei scruta bene il mio muso. Io sorrido al mio pensiero poco benevolo, mettendo in mostra i denti belli aguzzi.
Lei non ha paura, forse non ha mai visto un lupo, penso. Avvicina la sua manina alla mia testa. Forse vorrà accarezzare la mia morbida pelliccia, penso, ma invece lei mi strappa un baffo. Un guaito mi esce dalla bocca e lei ride divertita.
“Perché mi hai fatto male?”.
“Perché sei un lupo cattivo e sei venuto qui a mangiare mia nonna”.
La guardo stupito, mi ero dimenticato il modo in cui gli umani mi vedono.
“Ma sono un lupo diverso dagli altri, sono vegetariano. Non mangio gli esseri viventi”.
“Non ti credo” risponde.
”Allora te lo proverò. Dammi qualcosa delle provviste che non sia carne ed io lo mangerò”.
Lei mette una mano nel cesto e ritrae il pugno chiuso. “Te lo do se lo mangi ad occhi chiusi”.
Io accetto la sfida perché le voglio dimostrare la mia buona fede. Chiudo gli occhi e apro la bocca: sono pronto a gustare uno dei biscottini di cui sento il profumo burroso.
Crock! Appena lo addento la corona del molare salta e una fitta dolorosa mi annebbia la vista. Sento la risata di trionfo di Cappuccetto Rosso, una risata insensibile al male gratuito inflitto. Non ragiono più.
Con un balzo le sono sopra e ora la risata le muore in gola. Sento le mie unghie che lacerano il morbido tessuto rosso del mantello e graffiano leggermente la pelle tenera del braccio.
Lei ha lo sguardo vitreo dal terrore, il corpo è intirizzito, come di gesso.
Spalanco la bocca da cui cola la bava schiumosa di rabbia. Coi miei sensi percepisco il profumo della sua carne tenera.
“Se solo volessi”, le ringhio forte sul viso, ”ti mangerei in un sol boccone. Ma sei un essere perfido e non voglio sporcare il mio credo con te”.
Allento la presa. Cappuccetto Rosso sussulta, geme e si mette a piangere. Io raccolgo il paniere che è rotolato poco più in là, lo svuoto delle provviste che metto nella bisaccia e mi dirigo verso la mia tana, nel bosco, lontano dalla malvagità dell’essere umano.
“Raccontami una Storia” è curata da Sabrina Nesi, scrittrice e insegnante di Scrittura Creativa.
I racconti sono scritti dagli allievi ed allieve che partecipano, o hanno partecipato, ai laboratori di scrittura organizzati da Sabrina.
Nei laboratori si imparano tecniche narrative e ci si esercita per trovare idee e spunti per scrivere.
Al momento i Corsi di Scrittura Creativa sono tenuti online. Per informazioni scrivere a: sabrina.nesi@lovefromtuscany.com, o chiamare il numero 3341829607.
Sabrina Nesi è laureata in Letteratura Italiana e ha conseguito un Master in Scrittura Creativa all’università di Siena nel 2006.
Da allora ha sempre scritto e tenuto vari laboratori di scrittura, collaborando con varie associazioni, tra cui la Università Popolare di Firenze e l’Associazione Il Ponte di Empoli.
Ha una guida-blog sulla Toscana in lingua inglese: lovefromtuscany.com.