SAN CASCIANO – Era il 14 maggio 2017 quando, in un Obihall strapieno di soci (oltre i limiti della capienza) ChiantiBanca concludeva l'assemblea più drammatica della sua storia.
Quella dei 90 milioni di euro di passivo a bilancio. Quella che arrivava dopo le dimissioni choc dell'allora dg Andrea Bianchi e di mezzo consiglio d'amministrazione (in seguito all'ispezione di Bankitalia). Quella che vedeva scontrarsi due liste candidate al Cda: con la sconfitta finale di Lorenzo Bini Smaghi.
Che dopo poco più di un anno di presidenza (era stato eletto nell'aprile 2016) lasciava la guida di un istituto di credito che, dai progetti di diventare la banca di riferimento regionale, si trovò a dover fare i conti con una realtà durissima.
Uno scontro fra soci pazzesco, che si è trascinato fino all'assemblea di dicembre 2017, con il "ribaltone" che ha fatto virare la prua da Cassa Centrale a Iccrea.
A distanza di quattordici mesi da quel caldo 14 maggio Lorenzo Bini Smaghi parla per la prima volta. Di quella esperienza. Di come l'ha vissuta. Di come, da osservatore esterno, vede questo momento in cui alcune associazioni di soci di ChiantiBanca si stanno ponendo alla testa del movimento contro la riforma delle banche di credito cooperativo.
MAGGIO 2017 – Durante la drammatica assemblea all'Obihall a Firenze
Bini Smaghi, prima l’ipotesi di way out, poi l’assemblea del dicembre 2016 con il voto plebiscitario per rimanere nell’alveo delle Bcc (e verso Cassa Centrale), i risultati dell’ispezione di Bankitalia e le dimissioni; poi la sua sconfitta il 14 maggio 2017, poi la retromarcia verso Iccrea nel dicembre 2017. A distanza di oltre un anno dalla sua uscita dalla Presidenza, come valuta cosa è successo in ChiantiBanca?
"Mi sembra ci sia una gran confusione, che peraltro non è finita visto che alcuni soci di ChiantiBanca hanno chiesto pubblicamente di sospendere la riforma delle Bcc e pertanto l’adesione a Iccrea decisa solo qualche mese fa dopo il ribaltone. Alcuni sembrano rimpiangere ora di non aver scelto – nel dicembre 2016 – la cosidetta “way out”, che è stata seguita invece dalla Banca di Cambiano, che ora è pienamente autonoma pur rimanendo coerente con lo spirito cooperativo. In realtà ChiantiBanca non ha potuto prendere quella strada perché ha dovuto far fronte a oltre 120 milioni di rettifiche sui crediti deteriorati, riducendo di un terzo il capitale, che è diventato insufficiente per sostenere una via autonoma. Quelle rettifiche sono state in parte il risultato delle decisioni di erogazione del credito poco prudenti prese negli anni precedenti. Forse chi vuole fermare la riforma pensa che si possa tornare a quei “bei tempi”, quando la banca spesso prestava anche ai cosidetti “amici”, senza guardare troppo al merito di credito, cosa che non è più possibile fare. Forse ci si è accorti che l’adesione al gruppo Iccrea comporta una riduzione dell’autonomia maggiore del previsto. Ma non si può cambiare idea ogni 6 mesi!".
Come si spiega quello che sta accadendo ancora oggi, con associazioni di soci che fanno (evidentemente) riferimento a persone del passato che ha visto un passivo di 90 milioni, sanzioni di Bankitalia, indagini tuttora aperte per falso in bilancio e ostacolo alla vigilanza, che si fanno promotrici di petizioni per bloccare la riforma delle banche di credito cooperativo?
"In realtà, dietro a tanti proclami e questioni di principio, temo siano in ballo soprattutto alcuni interessi personali molto forti. Soprattutto da parte di chi vorrebbe tornare a controllare la banca, e magari scopre che non è così facile all’interno di un gruppo strutturato come Iccrea. Per raggiungere questo obiettivo viene sfruttata la buona fede di molti soci, anche se tanti altri cominciano a capire cosa c’è dietro, come dimostra la bassa affluenza dell’ultima assemblea – poco più di 600 soci su 26 mila – evidenziando un rischio di legittimità. Suggerirei al Cda di prendere in considerazione la possibilità del voto a distanza, via internet, come stanno cominciando a fare altre Bcc, per coinvolgere maggiormente i soci. Altrimenti c’è un rischio di progressiva disaffezione".
A proposito, avrebbe senso secondo lei bloccarla questa riforma?
"I tre gruppi che si sono costituiti (Iccrea, Ccb e Raiffeisen) sono determinati a portarla avanti. Non si capisce invece gli argomenti di chi vorrebbe fermarla. Forse alcuni sperano che, senza la riforma, la vigilanza della Banca d’Italia sarebbe più “morbida” di quella della Bce. Ma mi sembra che l’ispezione dello scorso anno, e le multe che ne sono scaturite, dimostrino il contrario. Forse la Banca d’Italia avrebbe dovuto essere ancor più severa, per chiarire bene di che pasta è fatta, ed eliminare questo tipo di illusione".
APRILE 2016 – Durante l'assemblea che lo vide eletto presidente di ChiantiBanca
Come ha vissuto il suo anno di presidenza della banca? Per lei, abituato alle platee europee, come è stato calarsi in questa realtà?
"Il mio desiderio era di dare un contributo al territorio, portando più trasparenza e un metodo più moderno di governo della banca. Abbiamo ridotto la concentrazione di potere e creato un sistema di controlli più efficace, come il comitato rischi, che prima non esisteva. Spero che il lavoro continui in questa direzione. In una banca non quotata, è importante che i soci abbiano più informazioni possibili, anche quando le cose non vanno bene. Non bisogna avere paura che escano informazioni sulla banca. Il problema in passato è stata semmai la mancanza di trasparenza".
C’è qualcuno che l’ha delusa? O che l’ha sorpresa in positivo in questa esperienza?
"Non mi hanno certo deluso i dipendenti, che si sono molto dedicati alla banca. Venendo da circa 30 anni di esperienza del settore pubblico, apprezzo chi privilegia l’interesse collettivo. Nella vita si può sbagliare talvolta, ma questo può rappresentare una opportunità di crescita se si è in grado di riconoscere l’errore e di assumersene le responsabilità, invece di cercare di scaricarle su altri. O di far finta di niente, girando la faccia dall’altra parte".
La rifarebbe?
"La rifarei, col senno di poi, magari in modo diverso. Ad esempio, chiarendo meglio da subito quali sono i miei principi e i punti sui quali sarei stato intransigente, come il rispetto delle regole e l’onestà. In quel caso, forse, non mi avrebbero più chiesto di fare il presidente! Ma non so che fine avrebbe fatto la banca quando sarebbe arrivata l’ispezione della Banca d’Italia…".
di Matteo Pucci
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