SAN CASCIANO – "Si è spento ma il suo modo d'interpretare la vita resterà sempre un esempio per tutti noi".
Se n'è andato alla soglia dei 91 anni (era nato il 15 ottobre del 1926) Cesare Lazzeri, detto Violino, personaggio molto conosciuto, componente a tutti gli effetti di quella San Casciano che purtroppo, per motivi anagrafici, sta pian piano scomparendo.
I suoi familiari lo ricordano con una frase semplice, che però dice tutto. Semplice come era Cesare: di quella sempliciità buona, che sapeva di vita vissuta, saggezza, comprensione delle cose.
Era talmente conosciuto che la croce di legno che si trova al "gomito" di via Colle d'Agnola, dove la strada gira verso il basso dopo aver costeggiato il confine con il campo sportivo, si chiama, appunto, la "Croce di Violino".
Conosciutissima anche la moglie, la "Maria del Soffietto", da una vita in quella deliziosa bottega in via IV Novembre, fra cappelli, ceste di vimini e balocchi di legno.
Che era peraltro anche il soprannome usato per il suo nonno, anche non si sa bene il perché di questo nomignolo: insomma, un soprannome dato al nonno, senza che se ne conoscesse il motivo (sapeva suonare lo strumento?) e, come capitava spesso nelle nostre campagne, passato come "eredità" a chi veniva dopo.
Cesare ha vissuto tutta la sua vita nel Colle d'Agnola: prima lavorando alla fattoria dov'era nato, Podere Rapi (che poi passó alla Curia), poi come autista-camionista per le cantine Antinori, ovviamente quando erano ancora in via Empolese.
"Era un lavoro durissimo – ci raccontano i familiari – portare il vino in tutta Italia ed Europa con quei mezzi e quelle strade. All'epoca le Cantine avevano i loro autisti, partivano in due con un camion e andavano in tutta Europa. Erano veri e propri viaggi eroici".
Per i suoi servizi alle Cantine Antinori ricevette anche un riconoscimento, una sorta di "chiave delle Cantine".
Uomo dei campi, Cesare era conosciuto da tutti come un eccellente "annestino": veniva chiamato per l'annesto di vigne e piante da frutto sia da aziende che da privati: "Da un melo tirava fuori pesche, pere e albicocche…".
"Era un uomo della terra – concludono i familiari – in ritmo con la natura e le stagioni. Un contadino toscano nel vero senso della parola. D'animo gentile e di poche parole, nascondeva con umiltà una conoscenza profonda della campagna che era la sua vera passione".
di Matteo Pucci
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