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venerdì 26 Aprile 2024
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    Vicenda-mostro: insieme alla madre Milva Malatesta morà carbonizzato nell’auto nel 1993. Tutta la storia

    PONETA (BARBERINO VAL D'ELSA) – Era l’estate del 1993, esattamente la notte tra il 19 e il 20 agosto, quando nella piccola frazione di Poneta, nel comune di Barberino Val d’Elsa, avvenne un brutto fatto di cronaca nera associato al caso del mostro di Firenze.

     

    La morte della 31enne Milva Malatesta e del piccolo Mirko, carbonizzati all’interno della Fiat Panda della madre.

     

    Mentre Milva riposa nel cimitero di Tavarnelle, il piccolo Mirko fu seppellito lontano da sua madre, ovvero nel cimitero di Gambassi Terme: e adesso per lui, come per tanti altri, è arrivato il momento dell’estumulazione dei resti.

     

    In molti si erano chiesti all’epoca dei fatti perché il bambino non era stato posto accanto alla sua mamma, mentre adesso fa discutere il fatto che i familiari siano stati avvertiti dal Comune come avviene in questi casi per dare una nuova sepoltura al piccolo. Ma nessun familiare ha risposto. Dunque, allo scadere del tempo richiesto, i resti saranno traslati in un ossario comune.

     

    A distanza di anni abbiamo ripercorso cosa avvenne quella tragica notte. Milva era partita con il piccolo dalla loro abitazione di Certaldo per incontrarsi con il suo nuovo compagno, residente nel Chianti.

     

    L’appuntamento era stato fissato per le 11 al distributore di benzina sulla strada provinciale 101, alle porte di San Donato in Poggio: la donna sembra avesse da rivelare cose importanti riguardo al mostro di Firenze.

     

    L'uomo non arrivò mai all’appuntamento perché durante il tragitto fece un incidente con la sua Ape 50; Milva attese il suo arrivo oltre l’orario stabilito, ma non vedendolo arrivare decise di fare rientro a casa. Inconsapevole però che l’attendeva un altro tragico appuntamento, quello con l’assassino (o gli assassini).

     

    Perché se in un primo momento sembrò che a Poneta quella notte si fosse trattato di un incidente stradale, la polizia stabilì che non era così.

     

    Sull’asfalto non furono rilevate frenate ma evidenti tracce di benzina; così come accanto alla Fiat Panda distrutta dal fuoco fu trovata una tanica di benzina vuota, sporca di sangue.

     

    Le indagini subito si orientarono sul nuovo compagno, che fu arrestato, processato e assolto nel per non aver commesso il fatto.

     

    Veniamo a oggi. Siamo andati a parlarne con il gestore del distributore di San Donato in Poggio, che ai tempi fu ascoltato dagli inquirenti in quanto questi supponevano che l'uomo avesse acquistato e messo la benzina nella tanica (ritrovata a Poneta) presso il suo distributore.

     

    "Ricordo che la notte in cui avvenne il fattaccio mi vennero a suonare il campanello i carabinieri – racconta – volevano sapere se avevo dato io la tanica e la benzina a quell'uomo".

     

    Era così?

    "No, io non gli avevo dato proprio nulla. Mi toccò andare anche tre volte in tribunale per questo. Tra l’altro all’epoca non avevo nemmeno le telecamere alla stazione, così come non c’era il self-service, la benzina la mettevo io ed ero certo che non l’avevo servito. Ricordo che qui sono venuti in tanti a sentirmi, inquirenti ma anche giornalisti… come sta facendo lei".

     

    Ha conosciuto Milva Malatesta?

    "Sì, come tante altre persone che si servivano da me, tra l’altro i genitori di Milva abitavano alla Sambuca, ma… buongiorno e buonasera e basta".

     

    Ringraziamo il gestore e proseguiamo per Poneta, arriviamo dove persero la vita Milva e il piccolo Mirko.

     

    Sul posto non c’è nulla in loro ricordo, nemmeno una croce. Facciamo pochi passi ed ecco le prime abitazioni.

     

    Chiediamo se qualcuno si ricorda di quella notte e troviamo una signora disponibile a raccontarci cosa accadde: "Erano circa le 3.30 quando sentimmo suonare il campanello. Aprì mio marito trovandosi davanti due ragazzi di Certaldo: “E’ successo un incidente, sta prendendo fuoco una macchina sotto la scarpata proprio qui sopra, chiamate i pompieri e un’ambulanza!"".

     

    "Il caso voleva – dice ancora – che anche mia figlia fosse fuori e aveva proprio una Panda. Facemmo una corsa disperata, l’auto bruciava, solo dopo sapemmo che all’interno c’erano una donna e un bambino. Il bambino era sul sedile posteriore".

     

    "Per molto tempo – conclude- non ho avuto il coraggio di passare di lì, mi veniva da piangere pensando a quella creatura bruciata nell’auto. Ho sempre pensato di piantare in quel luogo una “Mazza di San Giuseppe” (un Oleandro) forse adesso lo farò".

     

    Quel delitto è ancora rubricato come opera di ignoti: e quel piccolo corpicino oggi sembra destinato a trovare posto per sempre in una fossa comune.

    di Antonio Taddei

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

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