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venerdì 26 Aprile 2024
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    Incontro con l’enologo sancacianese formatosi alla “scuola” del padre dei grandi vini toscani

    SAN CASCIANO – Il suo destino, probabilmente, era di quelli già scritti: del resto se nasci a poche centinaia di metri dalle Cantine Antinori (quelle vecchie, al Bardella), e a un tiro di schioppo dalla casa di uno dei più grandi enologi italiani di sempre, quel Giacomo Tachis che ha rivoluzionato la storia vitivinicola toscana e italiana, probabilmente qualcuno sta cercando… di dirti "qualcosa".

     

    E Gianfrancesco Paoletti, 51 anni, sancascianese "doc", quel "qualcosa" lo ha sentito chiaro e forte. E assecondato, diventando oggi un enologo apprezzato, che lavora in ogni parte d'Italia.

     

    Paoletti, a quale "mondo" del vino stiamo andando incontro?

    "Io intanto direi che c'e' una grandissima storia: quella del vino è una cultura profondamente radicata dentro di noi. La si respira a tavola, in cucina. Purtroppo devo dire che viene un po' travisata la nostra storia, talvolta viene fuori l'italianità nel modo peggiore. Si cerca di fare i furbi, trovando la strada più corta. Del resto vale per tutti i grandi prodotti del nostro Paese: dalla moda all'agro alimentare. Peccato perché il vino italiano è richiesto, ha una storia e un nome difficili da imitare, in particolare il Sangiovese che è difficilissimo da coltivare. Se poi Chianti è il nome piè conosciuto del mondo… qualcosa vorrà dire no?".

     

    Come nasce la sua passione per il vino e la sua professione?

    "Io vengo da una formazione agricola, avendo frequentato l'istituto superiore agrario. La passione nasce perché appena uscito da scuola il dottor Tachis mi prese a lavorare in laboratorio alle Cantine Antinori. Poche settimane dopo il diploma ero già lì, non ebbi neanche il tempo di pensare se iscrivermi all'Università…".

     

    Si può dire che lei è orgogliosamente un allievo di Giacomo Tachis? E cosa è stato per lei questo grande enologo?

    "Per me Tachis è stato tutto, dal punto di vista professionale ma anche umano. Con lui in Antinori abbiamo instaurato un bellissimo rapporto con i quattro in laboratorio: penso a Bruno Masi, a Dora Marchi e Tamara Morelli. Un gruppo di lavoro che andava al di là degli orari, che lavorava con gusto e passsione, anche di stare assieme. Ci si ritrovava a tavola… ma non solo. C'era spesso un bel prosciutto nascosto sotto il bancone del laboratorio, la Coca Cola nel frigo che Tachis usava per ripulirsi la bocca. Lì ho lavorato sedici anni, e con Tachis complessivamente trenta. Un personaggio eccezionale, di grande carisma, bastava il suo sguardo per capirlo".

     

    Quali gli insegnamenti che ricorda maggiormente?

    "Mi ha insegnato a valutare i vini in senso analitico, non fidandosi solo dell'assaggio ma affiancando sempre l'analisi chimica. In molti enologi questo tipo di assaggio "composto" manca: non a caso in Antinori a quei tempi il laboratorio di analisi era uno spettacolo, sembrava di essere all'Università. E l'altra cosa importante è che la tecnica si impara, è a disposizione di tutti. Il tuo plus valore è la capacità di assaggio, il saper unire insieme i vini: tanto che lui non si è mai definito un enologo ma un "mescola vino"…".

     

    Quali evoluzione prevede nel futuro di un settore così importante per il mande in Italy?
    "Io vedo che il vino non conosce crisi di volumi, ne conosce caso mai un po' di margini di guadagno, visto che le aziende devono tenere i costi più bassi. In Italia purtroppo sono scesi a livelli storici i consumi, quasi alla metà rispetto a 30 anni fa. Un po' anche per colpa della guerra fatta sugli alcolici. La cosa buona è che si è scelto un consumo mirato: chi beve sa scegliere i vini buoni; e comunque i vini cattivi sono pochi nel panorama generale".

     

    E per il Chianti Classico nello specifico?

    "Diciamo che anche in questo caso i numeri parlano chiaro. Con le richieste aumentate nei primi mesi del 2014, i prezzi saliti e le scorte, che erano molte, che si sono assottigliate molto. Questo è il sintomo di una richiesta e di una attenzione. Purtroppo i prezzi di vendita rimangono bassi. Anche il valore fondiario dei vigneti però è cresciuto, non si trovano più diritti di re-impianto. Sono segnali positivi".

     

    Discussione infinita: quanto incide il suo lavoro rispetto a quello fatto in vigna?

    "Io sono un enologo atipico, che collabora strettamente con gli agronomi. La materia prima buona è essenziale: un agronomo valido permette di avere materie prime su cui lavorare. E' un investimento essenziale per un'azienda".

     

    Chiudiamo chiedendole se c'e' un vino del quale è particolarmente orgoglioso…

    "Diciamo il vino a cui sono legato maggiormente si chiama "Valicaia", dell'azienda Fornacelle di Mercatale. E' il vino con cui mi sono espresso individualmente: entrai in quell'azienda al posto di Tachis e me lo cucii addosso. Si tratta di un Igt classico: Cabernet, Merlot, Sangiovese. Attualmente lavoro molto sui bianchi a San Gimignano, oltre che in varie zone d'Italia. Il mio rammarico? Non avere aziende… di San Casciano!".

    di Matteo Pucci

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

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