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venerdì 26 Aprile 2024
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    Ungulati: “L’emergenza sono i caprioli. Allungate la caccia oltre metà marzo”

    Convegno a San Casciano: "Situazione fuori controllo. Vanno colpiti nel momento in cui creano il danno"

    SAN CASCIANO – La questione ungulati è sempre più vicina a un'emergenza senza ritorno. In Toscana, soprattutto. E nel Chianti ancora di più.

     

    Dove i danni in agricoltura colpiscono settori, in particolar modo nel Chianti Classico, dagli altissimi valori per ettaro.

     

    E poi incidenti stradali, una diffusione ormai a livelli di infestazione di zecche (chi va per funghi o nei boschi sa di cosa stiamo parlando), aumentate esponenzialmente all'aumentare degli ungulati. E un disequilibrio ecosistemico, anche a danno di altre specie, tutto da valutare.

     

    Soluzioni? Ci ha provato la Regione Toscana con l'ormai "famosa" Legge Obiettivo del 2016. Ma con risultati ad oggi scarsi. E una sensazione di esasperazione da parte del mondo agricolo ormai oltre i livelli di guardia.

     

     

    IL CONVEGNO ORGANIZZATO DAL BIODISTRETTO DEL CHIANTI

     

    Se n'è parlato diffusamente in un convegno organizzato lunedì 28 maggio in auditorium ChiantiBanca, a San Casciano, dal Biodistretto del Chianti.

     

    "Circa 50 aziende in Chianti Classico – ha spiegato il presidente Roberto Stucchi Prinetti – che vogliono allargare a tutto il territorio l'utilizzo dell'agricoltura biologica".

     

    Il sindaco di San Casciano Massimiliano Pescini, nel suo saluto iniziale, ha subito chiarito che "gli abbattimenti sono del tutto insufficienti, in particolare in zone come le nostre, in cui vigneti e oliveti si intersecano ai boschi. Un territorio con valori economici e di pregio elevatissimi, per il quale i danni sono esponenziali".

     

    "Oltre a questo – ha rimarcato – c'è un grave problema di sicurezza stradale. E anche di convivenza: sono casi, lo so, rarissimi, ma sono stato a trovare il sancascianese che è stato aggredito da un cinghiale mentre saliva in auto".

     

    "L'unico modo che conosco per uscirne – ha concluso – è fare sistema, tutti assieme, confrontandoci anche con quel mondo fatto di persone dubbiose sui temi dell'abbattimento".

     

     

    LA PAROLA ALLO ZOOLOGO: "ELIMINARE GLI ANIMALI NEL MOMENTO IN CUI CREANO IL DANNO"

     

    Di grande interesse soprattutto la relazione di Federico Morimando, zoologo di Castelnuovo Berardenga, esperto di gestione faunistica: "Cinghiale, cervo e lupo. Di questo passo fra alcuni anni rimarranno solo queste specie nei nostri territori. Anche il capriolo deperirà, soppiantato appunto dal cervo, più forte e resistente".

     

    Tutto è partito da "quell'attività umana che fra gli anni '50 e '60 ha ripopolato queste zone di ungulati, nel periodo di passaggio fra la fine della mezzadria e l'agricoltura "moderna". Poi però è subentrata madre natura, e con questa oggi dobbiamo confrontarci".

     

    Innanzi tutto il clima: "In 50 anni le temperature nelle nostre zone sono diventate così miti che le querce, tanto per fare un esempio, hanno anticipato di un mese la loro gemmazione. C'è un aumento esponenziale della superficie boschiva rispetto a quella agricola: e non è un trend solo chiantigiano o toscano. E' un trend europeo, dove i boschi stanno soppiantando i campi coltivati, creando un motore ecosistemico enorme per queste popolazioni di ungulati".

     

    Venendo al Chianti, Morimando ha parlato di "isole di colture ormai circondate dai boschi, con gli ungulati che hanno riparo e disponibilità alimentare. I caprioli impattano tutto l'anno, a partire dalla gemmazione; i cinghiali alla maturazione delle uve. Animali talmente intelligenti da imparare che alcune colture sono più buone di altre: abbiamo osservato intere famiglie di caprioli che si specializzano nel mangiare da vigneti specifici".

     

     

    "Il carico di ungulati della Toscana – ha detto ancora – è pari a quello che c'è nel Parco di Yellowstone, in America. Solo che lì non ci sono inserite in mezzo… attività umane. Così, sono arrivati i lupi: ne sono stati censisti 110 branchi in tutta la Toscana, e la si smetta con la leggenda metropolitana dei lupi "gettati". Vengono da soli dove capiscono che c'è abbondanza di prede, sia selvatiche che negli allevamenti".

     

    Tanto per dare un numero, si parla di 12mila capi selvatici elminati ogni anno dai lupi in Toscana.

     

    "Ormai l'analisi dei fenomeni è abbastanza chiara – ha proseguito – La nostra regione sta sopportando un carico di ungulati insostenibile, concentrato in particolar modo nelle province di Siena, Arezzo e Firenze".

     

    Da qui, l'analisi delle possibili soluzioni: "Può esserlo la caccia? Rispondo… . I dati parlano chiaro anche in questo caso: a riduzioni di popolazioni non corrispondono riduzioni del danno in agricoltura. Gli animali si spostano, sanno dove andare per proteggersi dalla pressione venatoria: basti pensare che in Toscana ci sono 230mila ettari di aree protette".

     

    E poi ci sono modi e tempi della caccia. Ad oggi, secondo Morimando, errati: "Va bene la caccia ricreativa, sociale. Ma se si vogliono tutelare le colture bisogna studiare una caccia diversa, che elimini gli animali nel momento in cui creano il danno. E' quindi palese che chiudere la caccia al capriolo a metà marzo, quando inizia la fase di vita della vite e iniziano i veri danni, è un controsenso. Insomma, dobbiamo adattare i nostri strumenti a un fenomeno flessibile come solo la natura sa esserlo".

     

     

    L'ESPERIENZA DI GIOVANNI MANETTI, VITICOLTORE A PANZANO

     

    Giovanni Manetti, viticoltore a Panzano in Chianti, fra i primi esponenti dell'agricoltura biologica chiantigiana, vicepresidente del Consorzio Vino Chianti Classico, ha lanciato alto il grido d'allarme di chi ogni giorno è in vigna.

     

    "E un allarme lanciato da noi – ha sottolineato – che da agricoltori biologici come  altri e più di altri abbiamo a cuore questo territorio, ha ancora una maggiore valenza se possibile. Vuol dire che la misura è colma per davvero".

     

    "Dobbiamo mettere mano tutti insieme – ha proseguito Manetti – a un problema ormai allo stadio finale. Così non si può più andare avanti: 400mila ungulati (calcolati per difetto) in Toscana, con percentuali di presenza quadruple rispetto ad altre regioni. Il 40% di tutti i caprioli italiani sono in Toscana, con percentuali folli nelle province di Firenze e Siena; il 30% dei cinghiali italiani è in Toscana. Non serve altro a descrivere quello che stiamo vivendo".

     

    "Lo sforzo della Regione Toscana – ha riconosciuto Manetti – era stato apprezzabile. Purtroppo però la situazione è rimasta la stessa. Siamo di fronte a 9mila cinghiali abbattuti in meno fra 2017 e 2016, piani di abbattimento del capriolo applicati solo al 50%. Ed è il capriolo la vera emergenza, poiché dà continuità al danno; per me ormai è una sorta di socio occulto, visto che mangia il 10-20% del fatturato. Le forme previste non sono sufficienti: serve l'abbattimento in vigna".

     

    "Vanno coinvolti gli agricoltori – ha concluso Manetti – che sanno tutto dei loro terreni e degli animai che, ormai, vi "pascolano". Nel mio poi c'è il paradosso di avere 20-30 caprioli rimasti dentro le recinzioni, perché ormai ognuno di noi è costretto a farle, e non posso neanche toccarli. I risarcimenti? Mai preso un euro: non ci sono soldi che possano ripagarci dell'uva (e del vino) che non riusciamo a produrre".

     

     

    L'ESPERIENZA DI DUCCIO CORSINI, VITICOLTORE A SAN CASCIANO

     

    Un altro di quelli che con gli ungulati ha un conto aperto è Duccio Corsini, proprietario della Fattoria Le Corti a San Casciano.

     

    Uno che in zona è stato criticato molto, ad esempio, sulle recinzioni che ha allestito per proteggere i vigneti. E proprio di questo ha parlato: "Ho dovuto farlo a malincuore, per proteggere il nostro lavoro".

     

    "E pensare – ha sottolineato – che io ho anche lavorato molto per renderle meno impattanti possibile. Sono infatti reti mobili: finito il periodo di maggior rischio danneggiamento le rimuoviamo, con tutto il lavoro e i costi che ne conseguono".

     

    Poi ha chiesto di essere investiti, come agricoltori, di possibilità dirette: "Sono un cacciatore, ho studiato, ho patentino, porto d'armi, vengo sottoposto a visite fisiche e psicologiche. Mi si dia la possibilità di difendere direttamente i miei vigneti: nessuno meglio di noi può essere decisivo nel contenimento degli ungulati".

     

    "Anche perché – ha concluso – abbiamo responsabilità economiche nei confronti di chi lavora per noi, ambientali, sul paesaggio. Sosteniamo questa grande bellezza che il mondo viene ad ammirare. Come minimo dovremmo essere coinvolti nel suo mantenimento anche dal punto di vista della protezione dagli ungulati".

     

     

    LA VOCE DELLA REGIONE TOSCANA… ASSENTE L'ASSESSORE REMASCHI

     

    Molto attesa la voce della Regione Toscana: per l'assenza dell'assessore all'agricoltura Marco Remaschi (a Roma per altri impegni), è toccato a Vito Mazzarone relazionare e prendersi anche qualche inevitabile "frustata".

     

    "La situazione è critica – ha esordito – anche in prospettiva. Basti pensare che le statistiche ci dicono che nel 2030 in Toscana passeremo dagli attuali 80mila a 40mila cacciatori. Cacciatori che, è bene dirlo, sul tema degli ungulati sono stati spesso più conservatoristi delle associazioni ambientaliste".

     

    Insomma, a breve mancheranno coloro che possono far diventare pratica la teoria delle quote fissate. Anche perché, ha evidenziato Mazzarone, già oggi c'è difficoltà in questo senso: "Basta vedere i dati del 2017 per quanto riguarda le province di Firenze, Prato e Siena: a fronte di oltre 20mila capi autorizzati per l'abbattimento, ne sono stati abbattuti poco meno di 11mila".

     

    Su quelle che possono essere le soluzioni al problema, Mazzarone ha concordato sul fatto che "fare pressione sugli animali nel momento in cui entrano nelle colture può essere una delle opzioni. Così come aumentare le possibilità di caccia, cosa che la Regione ha fatto. Ma anche investire sulla filiera della gestione delle carni: anche qui i primi passi sono stati fatti, ma serve andare avanti".

     

    Ci sono, ha rivelato, 15 milioni di porzioni di carne (di capriolo e cinghiale) prodotti "in potenza" in Toscana. Carni che prendono per la maggior parte (solo 7mila capi su oltre 200mila sono passati da centri allestiti dalla Regione) vie traverse: "Bisogna scommettere sul mercato della carne – ha concluso Mazzarone – anche dal punto di vista economico".

     

     

    L'ATC SIENA NORD: "BUROCRAZIE INSOSTENIBILI"

     

    "Vi spiego l'iter tipico per una braccata al cinghiale richiesta da un agricoltore – ha detto prendendo la parola Roberto Vivarelli, presidente Atc Siena Nord – Servono sei passaggi, se va bene dagli 8 ai 10 giorni. E alla fine non si sa neanche se e quando la richiesta è stata accettata".

     

    "Nel 2017 – ha continuato – abbiamo documentato 8.901 quintali di uve danneggiate. Il 36% da caprioli, con tendenza in aumento. Il capriolo è il vero problema: sul cinghiale qualche piccolo passo avanti è stato fatto, ma sul capriolo siamo piantati. Anche a cause delle rigidità di Ispra, che sul tema sposa la linea conservativa. E noi invece siamo, fra Atc Siena Nord e Sud, a oltre 1 milione e 300mila euro di danni documentati nel 2017! Con i soldi in cassa ma fermi nelle elargizioni perché, a fronte delle nostre denunce pubbliche, ci vengono richiesti tutti i nomi delle aziende, e in auto tutela fino a che l'iter non è chiuso non possiamo risarcire".

     

    "Sul capriolo – ha concluso – serve uno sforzo politico della Regione Toscana, alla quale riconosciamo, e in particolare all'assessore Remaschi, che sul tema ci ha messo la faccia. Deve andare contro la rigidità di Ispra e permettere azioni più incisive sui caprioli: anche i sindaci devono fare la loro parte, sostenendo la Regione in questa battaglia".

     

    LA VOCE DEL WWF: "AVEVAMO INTUITO CHE LA LEGGE REGIONALE NON AVREBBE FUNZIONATO"

     

    Fra le voci (ovviamente) discordanti, quella del WWF, intervenuto con Franco Ferroni, responsabile Policy Biodiversità, Aree protette, Politiche Agricole per l'Italia.

     

    "Fin dall'inizio – ha detto Ferroni – dicemmo che la Legge Obiettivo non avrebbe dato risultati, che non avrebbe risolto i problemi degli agricoltori. E non ci sbagliavamo. Ci sono delle parti completamente ignorate, come ad esempio quella che prevede il sistema delle catture".

     

    "Ci siamo sempre chiesti – ha proseguito – ed abbiamo sempre chiesto, ma la Regione ha fatto una legge per cercare di ridurre i danni o per dare ancora più campo al mondo venatorio? Rispetto alle esperienze di altre Regioni qui si punta solo a quello in realtà: ad esempio escludendo dalla gestione degli ungulati proprio i diretti interessati, ovvero gli agricoltori".

     

    "I cacciatori hanno un atteggiamento conservativo verso gli ungulati? Ma cosa ci si aspetta – ha rimarcato – da quel mondo che il problema lo ha creato. Non gli si può certo chiedere la soluzione. Anche sul tema della valorizzazione della carne sono loro gli unici beneficiari".

     

    "Si fa sparare in luoghi sbagliati e in modi sbagliati – ha concluso – per questo non arrivano i risultati. Serve una revisione profonda e, lo ripeto, un coinvolgimento diretto degli agricoltori. Che sono la parte colpita dal problema ma che la Regione Toscana ha messo ai margini".

    di Matteo Pucci

    © RIPRODUZIONE RISERVATA

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